L’antica Via del Carro ha rappresentato per il Salento una vitale arteria di commercio, in un periodo cruciale per lo sviluppo di questa terra.
Siamo alla fine del 1400, i turchi avevano già varcato il Canale d’Otranto e seminato il terrore ovunque, tuttavia era un momento favorevolissimo per l’agricoltura, le campagne tornavano ad essere popolate e ci fioriva ogni sorta di attività. Il XV secolo infatti è noto come il secolo d’oro dell’agricoltura, per tutta una serie di innovazioni che favorivano le coltivazioni e la produzione agricola. Era necessario proteggere queste comunità, così sorsero le masserie fortificate. Da Brindisi a Lecce, fino a Otranto, era tutto un susseguirsi di grandi masserie, ed esse erano collegate da essa, una grande arteria carraia, citata dalle fonti storiche come continuamente solcata dai carri, la Via del Carro, appunto, che smerciava tutti i prodotti agricoli del territorio nei due porti di Brindisi e Otranto. La strada correva perpendicolarmente alla linea costiera, da cui distava giusto qualche chilometro, per evitare le paludi. In alcuni punti sfruttava il banco roccioso affiorante, grazie al quale oggi molti tratti sono sopravvissuti, mentre altrove aveva un fondo basolato. Nel territorio brindisino, complice anche la presenza di aree protette, dove la natura ha ricoperto ogni traccia, ma anche di invasive aree industriali, non sono riuscito a localizzare parti di percorso giunti fino a noi. Così continuo la strada, proseguendo verso sud. Il granaio della città di Lecce era posto attorno alla cosiddetta Platea di Cerrate, un fitto insediamento, molto ben fortificato, che forniva ogni bene agricolo a Lecce e al resto del Salento. Qui siamo davanti a Masseria Giampaolo. Il fondo roccioso emerge oltre il terriccio rivelando le profonde fenditure nella roccia scavate dal passaggio secolare delle ruote dei carri. La via ci passava proprio accanto, e come da ogni masseria del circondario, da qui partiva una strada che vi si collegava. Qui ci sono ben due frantoi ipogei, perché l’olio era il bene principale che era oggetto di commercio. Anche l’adiacente masseria Monacelli ne aveva un altro. Ma di mercanzie ce n’erano di ogni tipo, e viaggiavano continuamente: come ricordano ancora le fonti, questa via era continuamente trafficata. C’erano insediamenti che lavoravano solo col bestiame, come era per masseria La Grotta, dalla quale partiva un’importante tracciato basolato, che si collegava alla Via del Carro. La Via poi proseguiva da Giampaolo verso sud, e ne abbiamo ritrovato le tracce in un boschetto, che ci porta a masseria Cafore, dove c’era un altro frantoio ipogeo. Ora siamo a Masseria Barone Vecchio, purtroppo in stato di rovina… ma possiamo immaginarla come era in origine, mentre svettava dal paesaggio atavico degli olivi. La strada si perde sotto l’asfalto delle strade di oggi, ma più in là la ritroviamo all’interno della riserva di Rauccio, dove sopravvive un tratto di carrareccia, che passa non lontana dalla masseria che un tempo era la sede dell’oasi naturale. Qui passa davanti ad una vecchia pagghiara. E’ un tratto molto importante, perché è l’unico visibile, all’interno dell’antica foresta di lecci, che un tempo ricopriva gran parte di questa zona. Proseguendo verso sud incontriamo Masseria Coccioli. Anche le torri colombaie erano molto frequenti, testimonianza di tutte le produzioni che si tenevano in questi grandi centri agricoli. Ed ecco ora Masseria Paladini, databile al 1500, anche questa in cattive condizioni. La Via del Carro costeggiava poi l’antica masseria Solicara, con la sua imponente torre, la chiesetta, punto di riferimento dei contadini della zona. E siamo ora presso masseria San Giuseppe, dotata di un immenso frantoio ipogeo, forse il più grande di tutto il Salento. Da qui, la Via del Carro diventa lastricata, e per un lungo tratto sino a masseria Giammatteo è ancora visibile. Il fondo stradale è imponente, a dispetto dei secoli, e qui è ripreso il tratto più antico, perché per gran parte è stato coperto o compattato da interventi ottocenteschi. Il percorso attraversa un’area naturalistica particolarmente bella, fra un bosco e la macchia mediterranea. A poche centinaia di metri da qui, la toponomastica ricorda ancora l’antica denominazione. Proseguendo ancora verso sud, non molto distante da Borgo Piave, a circa 3-4 km dal mare, la strada fuoriesce dalla macchia mediterranea con una grande arteria carraia, di cui si nota la profondità del solco, scavato letteralmente da secoli di passaggi di carri. Siamo di fronte a masseria Basciucco. Nei suoi poderi furono segnalati due menhir da Giuseppe Palumbo, e andati perduti, sembrerebbe, nel 1957. Siamo giunti presso masseria Specchia dell’Alto, un luogo da cui si domina il territorio circostante, dove è presente anche una chiesetta: da qui la carraia torna visibile, e si insinua nei campi che costeggiano una grande torre colombaia. Siamo in direzione di Masseria Mosca. Qui c’è un tratto molto bello della Via del Carro, che è anche la testimonianza di come il suo tracciato sia stato asfaltato, ed è diventato Via Ardito Desio. Qui si ritrovano tutte in fila ben tre masserie, testimonianza del lavoro e del mondo contadino, fino a Masseria Mele, un’altra torre fortificata, costruita su tre piani, ed in origine dotata anche di un ponte levatoio! A questo punto del tracciato si collegava anche il poderoso Zundrano, antichissimo insediamento fortificato che era a guardia delle campagne immediatamente prima di Lecce. La Via del Carro riemerge presso masseria Fossa, in uno scenario pastorale molto bello e affascinante. Siamo ormai presso Acaya, nelle vicinanze di Masseria San Pietro e di un suggestivo villaggio rupestre. Sono sopravvissute solo queste tracce dell’antica strada. Acaya è ormai alle porte, siamo nella zona di massima allerta per gli abitanti dell’epoca. Qui siamo presso masseria Visciglito, anticamente nota anche come Gesuini per via della comunità di Gesuiti che la gestiva: anche questa masseria si agganciava alla Via del Carro attraverso l’arteria che partiva da essa. Qui siamo nelle campagne fra Vanze e Acquarica, dove si ammirano antiche masserie fortificate, austere e severe: entrando in una di esse si nota come al piano superiore si poteva accedere solo tramite una scala a pioli che poi si ritirava, proprio in caso di attacchi turchi. Resta un lembo di carraia, in un paesaggio bucolico, che un tempo era popolato da schiere di contadini, ed oggi è tutto per noi, in una silenziosa solitudine. Lasciando l’attuale territorio di Vernole, entriamo in quello di Melendugno, dove la Via del Carro si allarga a dismisura, contando ben tre corsie… e oltre questo bosco si perde sotto i campi seminati e l’asfalto moderno. Otranto è ormai alle porte! Secoli fa, come Brindisi dall’altro lato, era il punto di arrivo dei nostri carri, del lavoro, di intere generazioni che qui hanno lavorato, vissuto, combattuto.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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