Nella penombra, nel cuore della roccia scavata nella madre terra, emerge l’Arcangelo Michele,
emblema delle prime comunità cristiane nel sud Italia… e poi, il volto severo di San Giovanni… e la Deesis, l’immagine sacra cara all’arte bizantina, con il Cristo Giudice, accompagnato dalla Madonna e da San Giovanni Battista, nel giorno che verrà, in cui intercederanno per i peccatori nel giorno del Giudizio Universale… Per la prima volta una telecamera entra nella cripta di San Giovanni, in una piccola e solitaria vallata situata a metà strada fra Brindisi e San Vito dei Normanni, e la mia emozione è sempre come la prima volta, ogni volta che capita di poter visitare luoghi millenari che raccontano memorie di questa terra… Siamo nel sito di un’antica frequentazione di monaci italo-greci. Qui, essi avevano la casa, e la chiesa, ed intorno un piccolo mondo antico, poi deturpato da una cava, che ne ha probabilmente distrutto tante peculiarità. Cominciamo a visitare il tempio. Misura quasi 8 metri di lunghezza, 5 di larghezza, e poco più di 2 di altezza, con un pilastro centrale su cui poggiano tre archi a tutto sesto, che divide l’ambiente in due navate con un’aula d’ingresso. In fondo vi sono tre piccole absidi, con tracce di altare addossate al muro in quella centrale. Sulla destra è tracciata una parete che delimita in parte il presbiterio, come era per le chiese ortodosse. Croci graffite emergono da ogni muro. Ma ovviamente gli affreschi attirano subito l’attenzione del visitatore. Sul muro di destra è rappresentato al centro San Giovanni Battista, fra la Madonna e il papa San Clemente, rappresentati con abiti sontuosi e affascinanti. E’ proprio il vestito di San Giovanni che è molto particolare: invece di semplici stracci di cui è avvolto nella iconografia tradizionale, qui porta una tunica rossa, su cui passa un fazzoletto bianco, legato da una fibbia davanti al petto. Il papa San Clemente (anche questa un’immagine abbastanza rara), in abito pontificale, tiene in mano il pastorale e porta sul capo la mitra; la Madonna regge fra le braccia il Cristo, il cui capo è cinto dell’aureola crocigera. L’opera risale al 1200, ed è il periodo a cui si riferiscono anche le pitture dell’abside, anch’esse accompagnate da iscrizioni latine. La testa di Gesù è circondata dall’aureola con la Croce. E’ un dipinto di straordinaria fattura, così come la Madonna, e San Giovanni Battista, che qui veste la tradizionale pelle di animale. Una pittura magnifica è anche l’Arcangelo, sulla parete laterale, rappresentato con le grandi ali spiegate, vestito d’una ricca tunica di porpora ricamata alle maniche e sulla quale passano e si incrociano le pieghe di una fascia d’oro. La mano sinistra regge un disco ornato d’una croce, ai cui angoli sono poste le sigle M – O e più in basso un’altra lettera, mentre la quarta lettera è scomparsa; la mano destra tiene una lunga asta. Nell’aureola che circonda il viso dell’Arcangelo, sono poste alcune lettere. La testa, perfettamente conservata, è di grande interesse. Il naso affilato, la bocca sottile, i grandi occhi, la capigliatura inanellata che accarezza la fronte, i lineamenti decisi e il bell’ovale del viso gli scolpiscono un’espressione di vita e di forza. Il drappeggio ricorda quello dei personaggi consolari scolpiti sui dittici, assegnano alla pittura un’origine tutta bizantina. E’ una fra le opere più interessanti della scuola italo-bizantina. In confronto alle opere dell’arte locale, datate XIII e XIV secolo, essa si ispira ai ricordi e ai modelli greci. Si tratta proprio dell’iconografia degli arcangeli fissata nell’XI secolo dalla tradizione artistica bizantina. Ecco perché questo affresco è di molto precedente agli altri presenti nella cripta. Qui vediamo il disegno di H. Bousquet-Boze dello stesso Arcangelo, presumibilmente senza i danni provocati dal tempo, quando è stato visto dai viaggiatori francesi che discendevano in Puglia negli anni del Grand Tour, fra 1700 e 1800. Nel corso dei secoli, dunque, gli affreschi primitivi convivono con quelli che i fedeli facevano realizzare successivamente, magari coprendo quelli precedenti. C’è un altra opera da ammirare, sulla parete opposta, e questa è in effetti più recente: raffigura San Rocco e la Vergine col Bambino. In basso, lungo la cornice, sotto la figura della Vergine, alcuni studiosi vi hanno ravvisato un’invocazione scritta in arabo. Mentre, tornando alla Deesis, Tonia Barillà mi faceva notare i triangoli colorati che fanno da decoro alla cornice dell’opera, che richiamano molto la bandiera della ‘Nzegna, una delle tradizioni medievali più antiche d’Italia, a Carovigno, dove si festeggia il ritrovamento dell’icona di una Madonna bizantina. Si tratta infatti di un’iconografia tipicamente bizantina. Scorrendo lo sguardo sulla parete rocciosa, si notano le “caviglie” dove i monaci appendevano i piccoli lumi che rischiaravano l’ambiente. E poi, queste piccole tracce in carboncino, ancora tutte da interpretare, fra cui spicca il profilo di questa giovane donna dalla folta capigliatura. Tornando fuori e percorrendo la piccola vallata, accanto al costone roccioso divenuto purtroppo una cava, si notano le tracce dell’insediamento monastico. Vista da fuori, questa piccola apertura non sembra poter nascondere questo grandissimo mondo rupestre scavato nella roccia, che, in vari ambienti, accoglieva la comunità che qui viveva, pregava e lavorava. C’è anche una piccola stalla, destinata agli animali. Alberi giganteschi hanno messo radici su queste rocce. E attraversando questo piccolo mondo antico pregavo fra me e me, che potesse esso un giorno ricevere un amorevole restauro che possa metterne in sicurezza i suoi tesori. Lo dobbiamo, alla memoria dei nostri antenati.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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