Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Visita a Masseria Visciglito

Visita a Masseria Visciglito

C’era un tempo, nel XVI secolo, in cui nel Salento si costruivano grandi masserie, e schiere di contadini uscivano dalle città per lavorare qui, in queste campagne

che stavano vivendo il secolo d’oro della rivoluzione agricola, e poco importava che i Turchi sbarcavano lungo le coste per fare razzie. Molte di queste masserie sono abbandonate. La modernità le ha tradite, e così le loro vecchie pietre languiscono nella solitudine. E’ bello visitarle, vivere questo silenzio. Non sono fughe nostalgiche verso un tempo che fu. E’ un viaggio necessario, non solo per chi ama questa terra, ma per chiunque sia interessato a scoprire le tracce di storici insediamenti rurali, in tempi in cui andare a vivere in campagna, lontano dalla città, era anche una scelta di resistenza, nei secoli della prepotenza turca e di ignobili scorrerie, che si succedettero dal 1480 fino al XVIII secolo. Mi a masseria Visciglito, trovo presso Strudà, lungo il tracciato della storica Via del Carro, che univa tutte le masserie della costa orientale del Salento ai porti di Brindisi e Otranto, che smerciavano i prodotti della loro terra. Anche questa masseria era collegata alla Via del Carro. L’ho visitata nel 2013, tenuta insieme da sostegni di ogni tipo, per evitare il crollo, dopo il suo abbandono. Sin dal XVI secolo questo luogo si pose come punto di riferimento di un esteso patrimonio feudale compreso fra Specchia Mezzana e Acaya. L’edificio palazziato lo si trova registrato negli archivi storici nel 1755, quando la masseria apparteneva al Venerabile Collegio della Compagnia di Gesù e consisteva, secondo le fonti storiche, in “molino, case palaziate e sottane, chiesa, capanne, pozzo, e curti, e dentro i suddetti curti vi sono due trappeti, uno in ordine e l’altro diruto e con molte chiusure murate di pareti a fabrico”. La spaziosa scala che porta al piano superiore, e l’adozione di un colonnato per creare un corridoio di disimpegno esterno, sono elementi che esprimono chiaramente la funzione di dimora rurale per la villeggiatura. Il colonnato è maestoso, e fra i teneri conci di tufo si notano cocci di ceramica utilizzati nei secoli come riempimento. La dimora era davvero imponente, dotata di svariati ambienti, dove nonostante il degrado si riesce ancora a leggere la vita di quei tempi. E’ sopravvissuto persino un soffitto ligneo, sorretto da grandi travi… Anche la chiesa, impalcata e sorretta da travi. Purtroppo non ho trovato notizie su essa, se non che esisteva già nel Cinquecento. Una resistenza davvero eroica, in tutta la semplicità delle sue linee architettoniche… L’interno è tutto transennato, è difficile aggirarsi. Era decorata da grandi ovali, nei quali doveva esserci una tela. Sulla controfacciata, sotto il piccolo rosone, doveva esserci un’altra tela, o un’iscrizione, ma nulla è rimasto purtroppo. Anche le lastre che coprivano il pavimento, sono state oggetto di spoliazione. La struttura aveva grandi contrafforti e muraglie imponenti. Passeggiando fra i suoi ambienti interni, sembra quasi di sentire il via vai dei contadini, o delle donne affaccendate a cucinare attorno al camino. La grande corte interna è oggi sommersa dalla vegetazione infestante, e permette di capire la grandezza della comunità agricola che qui viveva, autosufficiente. Il paesaggio era ancora verde, qualche anno fa, prima che il disseccamento colpisse gli olivi secolari che torreggiavano tutto intorno, le olive erano una componente fondamentale dell’economia della comunità, che sfruttava il suo frantoio per produrre il famoso olio lampante salentino La discesa in uno di questi luoghi simbolo dell’identità di questa terra, è sempre un’esperienza carica di fascino… Il frantoio è interamente scavato nella roccia, quindi risale al Cinquecento, differenziandosi dai frantoi semi ipogei e voltati a botte che vennero successivamente… Scavarlo e crearlo, in ogni suo ambiente, semplicemente con mani e picconi, è già solo questo un’impresa grandiosa… Qui, dopo una pioggia abbondante, le acque senza più freni convogliano all’interno, creando una piscina… Tutto è rimasto immutato, la roccia immota e densa di umidità, non attende più da tempo il suo “nachiro”… E’ rimasta una delle grandi vasche monolitiche, enormemente pesante, nelle quali veniva stipato l’olio prodotto. I depositi delle olive, la stalla per gli animali che spingevano la macina, la mensa dei lavoratori, tutto giace nel silenzio più profondo. Nella penombra, scorgo un ambiente sotterraneo, di cui non riesco ancora a capire la funzione… Oggi, dopo 12 anni, ho avuto il privilegio di tornare qui, grazie ad Anna e Cesare, vernolese e milanese doc, che hanno letteralmente salvato la masseria dal crollo, restaurando, ricostruendo, risistemando, tutti i suoi spazi. Eccomi così a rifare il grande viaggio nella memoria restituita. La carraia mi inviata dentro. La grande dimora palazziata è tornata al suo antico splendore, con tutto il suo maestoso colonnato. La chiesa è rimessa a nuovo, e risplende davanti ad una delle due corti interne della masseria. E’ ritornata anche la statua di San Biagio, un’opera in cartapesta che risale alla metà del 1800, che certamente i proprietari di allora vollero qui, devoti al Santo protettore della gola, che qui vediamo davanti ad una donna che porta il suo bambino ammalato. Di pregevolissima fattura, a ben guardare si nota anche il tessuto utilizzato per decorare l’opera. La discesa nel frantoio è emozionante… Entrare qui dentro, novello nachiro, è una nuova esperienza, che ti accarezza l’anima. La masseria è rinata come struttura ricettiva, e qui sotto gli ospiti posso rilassarsi, allenarsi, ritemprarsi. Quell’ambiente di cui non capivo la funzione, ora che è rimesso a nuovo, si mostra per ciò che era: una cisterna per la raccolta delle acque piovane, convogliate qui dentro da una sapiente rete di canalizzazioni. C’è un cunicolo ci accompagna nel secondo frantoio della masseria, citato dalle fonti, anch’esso completamente ipogeo, risalente quindi al 1500. Visitando le altre strutture della masseria, laddove erano stalle, e ambienti di servizio di ogni tipo, ora sono confortevoli suite, e camere per una vacanza che, in questo luogo di pace e silenzio, assume le sembianze del paradiso. La storia minima ha lasciato lo spazio a nuove rappresentazioni di arte e design, nel segno della vita che continua, e si rinnova. Sarò sempre grato ai proprietari, che mi hanno fatto visitare questo luogo dell’anima, della storia del Salento, che grazie a loro è riuscito a non morire, e ad affacciarsi nel futuro a venire, con tutto il suo carico della memoria passata.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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