Una città antichissima, Venosa, che trasuda Storia da ogni pietra, da ogni angolo.
Da quando arrivarono i Romani, qui, la città ebbe un grande sviluppo, anche per via della costruzione della celebre Via Appia, che univa Roma a Brindisi e dunque con l’Oriente. Nell’anno 65 a.C. qui nacque Quinto Orazio Flacco, uno dei più illustri poeti dell’antichità, emigrato a Roma quando era ragazzo. Possiamo immaginarlo, pieno di sogni, mentre mettendosi in viaggio si incamminava sul lastricato della via Appia. Entriamo, in quella che secondo la tradizione era la casa natale di Orazio. Risale al II secolo a.C., consta di due stanze adiacenti individuate come ambienti di un complesso termale, l’una semicircolare allestita con arredi e suppellettili di epoca romana ricostruiti con tecniche di archeologia sperimentale, l’altra rettangolare senza copertura. L’esterno, per la presenza della parete muraria in opus reticulatum, racchiude un suggestivo valore architettonico. Facciamo un viaggio nei luoghi e nella storia di questa città. La Concattedrale di Sant’Andrea fu costruita alla fine del 1400. Per favorirne la costruzione, fu demolita la chiesa di San Basilio, assieme alle botteghe e alle abitazioni circostanti. Tutto intorno ad essa si notano blocchi di costruzione di epoca Romana. L’interno del monumento è suddiviso in due piani e tre navate, adornate con archi a sesto acuto. Nella navata destra figura la Cappella del Santissimo Sacramento, decorata con un arco caratterizzato da putti, candelabri e festoni. Al piano inferiore si trova la cripta che ospita la tomba di Maria Donata Orsini, moglie di Pirro del Balzo. La fontana angioina fu eretta nel 1298, in onore di Carlo I D’Angiò, il quale soggiornò a Venosa qualche anno prima. Presenta due leoni in pietra che hanno sotto i piedi un ariete, simbolo della forza dell’Impero Romano. Tra le altre e numerose fontane cittadine troviamo quella di San Marco. Risalente al XVI secolo, prese il nome probabilmente dai leoni che sorgevano di fronte. Veniva usata per abbeverare i cavalli. A fianco, c’era un lavatoio pubblico, adesso inutilizzato. Il Castello aragonese fu costruito nel 1470 per ordine del duca Pirro del Balzo, nel punto ove sorgeva l’antica Cattedrale e, ancor prima, vi era un sistema di cisterne di età romana, i cui resti sono osservabili nel cortile del castello. Nel seicento, il castello da fortezza fu trasformato in dimora signorile da Carlo ed Emanuele Gesualdo. Ha una pianta quadrata, con torri a forma di cilindro ed è circondato da un fossato mai riempito d’acqua. Al suo interno è custodito il Museo Archeologico. Contiene svariati reperti di diverse civiltà ed epoche storiche. Si apre con una sezione dedicata alla preistoria, ove sono custodite testimonianze che vanno dal Paleolitico inferiore all’età del Bronzo. Contiene altre cinque sezioni, che vanno dalla fase preromana, ovviamente al periodo di massimo splendore che fu quello Romano, fino al periodo normanno. Tra i reperti più distintivi sono da citare la Testa di Diadumeno (appartenente a una statua perduta, nonché una copia di Diadumeno di Policleto); un frammento della Tabula Bantina, lastra in bronzo con testi legislativi scritti in osco e un askos (vaso schiacciato di origine greca) a decorazione policroma. Tutti i reperti custoditi qui sono di immenso valore storico. Ora cominciamo l’affascinante viaggio nella Venosa medievale. E scopriamo il complesso della Santissima Trinità, costituito da una chiesa antica, a cui dà accesso l’entrata principale, e da una chiesa incompiuta, la cui costruzione non fu mai portata a termine. L’abbazia contiene la stratificazione di tracce ereditate principalmente da Romani, Longobardi e Normanni. Vi è controversia sulla data di fondazione, ma gli studi più recenti affermano che l’abbazia venne innalzata dai Benedettini prima della venuta dei Normanni. Il nucleo originario è costituito da una basilica paleocristiana sorta tra il V e il VI secolo, ove in precedenza vi era un tempio pagano. Nel 1059 venne consacrata da papa Niccolò II. Nello stesso anno Roberto il Guiscardo volle rendere la chiesa il sacrario degli Altavilla e fece portare all’interno le salme dei suoi fratelli Guglielmo “Braccio di Ferro”, Umfredo e Drogone (verrà poi anche lui sepolto qui). La chiesa preserva un impianto in stile paleocristiano, strutturato da una pianta basilicale romana con un’ampia navata centrale e l’abside posta sul fondo, ma nel corso del tempo ha subito varie mutazioni a partire dal VII secolo, fino agli apporti di ricostruzione e restauro ad opera di Longobardi (nel X secolo) e Normanni (tra il XI ed il XIII secolo). L’ingresso della chiesa, in stile romanico, esibisce sul lato sinistro due sculture di leoni in pietra e quattro sporgenze, che corrispondono ad altrettante facciate sovrapposte l’una all’altra nel corso dei secoli. La prima sporgenza è di epoca normanna tra il XI e XII secolo; la seconda è longobarda, datata il X secolo; la terza è del VIII-IX secolo e la quarta è l’entrata laterale della Basilica Paleocristiana, al momento chiusa. Varcando la soglia dell’edificio, si possono rimirare varie sculture, perlopiù romane, e la cosiddetta Colonna dell’Amicizia, opera romana sormontata da un capitello bizantino. La Colonna venne chiamata così perché dice la tradizione che girarvi intorno tenendosi per mano sia un presagio di eterna amicizia e per le giovani spose che si comprimano tra colonna e parete, un augurio di fecondità. Poco prima dell’ingresso della chiesa, vi sono due facciate. La prima è costituita da un portale realizzato dal Maestro Palmieri nel 1287 e, alla sua sinistra, è osservabile un grande affresco del XV secolo che raffigura San Cristoforo. La seconda facciata è composta dal massiccio arco del porticato, seguito da altri due archi, sovrastati da una galleria di piccoli archi ciechi. Vicino alla facciata si trova la scalinata che conduce al Monastero. L’impostazione architettonica è di tipo paleocristiano. La navata centrale è divisa in altre quattro costituite da grandi archi, larghi 10 metri. L’abside è posta sul fondo e ha una forma semicircolare con raggio di 4 metri. Di fronte ai due pilastri d’angolo della navata si ergono due colonne di circa 5 metri, adornate da capitelli romani in stile corinzio. Nella navata destra si trova La Tomba degli Altavilla, luogo funerario dei duchi normanni, che provenienti dalla Normandia come guerrieri mercenari agli inizi dell’anno mille, diedero l’avvio al primo regno unitario nell’Italia meridionale. I corpi un tempo riposavano in sarcofagi singoli, e le loro ossa vennero riunite nell’arca alla metà del Quattrocento. Della tomba del Guiscardo, attraverso i documenti, ci è noto l’epitaffio in cui egli era soprannominato Terror Mundi. Nella navata sinistra si trova invece la tomba di Alberada di Buonalbergo (chiamata anche Aberada), moglie di Roberto il Guiscardo. La donna sposò Roberto nel 1053 ma venne da lui ripudiata per la principessa longobarda Sichelgaita di Salerno. Aberada ebbe anche un figlio dal Guiscardo, Boemondo I d’Antiochia, eroe della Prima Crociata, che morì a Canosa nel 1111 ed ivi è sepolto. Sull’architrave del monumento campeggia un’iscrizione in latino che attesta la sua sepoltura: «Aberada, moglie del Guiscardo, è sepolta dentro quest’arca. Se cercherai il figlio, Canosa lo possiede». Accanto alla tomba di Aberada vi è il sepolcro di Raffaele ed Emilio Acciaiuoli (XV secolo), originari di Firenze. Sempre nella navata sinistra troviamo una pavimentazione di mattoncini appartenente alla Basilica Paleocristiana e, in successione ad un piano inferiore, un mosaico sul pavimento di “domus romana” del periodo imperiale (II-III secolo d.C.). La cosiddetta chiesa incompiuta venne iniziata con l’impiego di materiali provenienti da monumenti più antichi. Il suo progetto risale al XII secolo, in architettura normanna, quando la Chiesa antica venne giudicata un luogo inadatto a contenere un certo numero di fedeli, quindi si optò di architettare un vasto abside a cappelle radiali, con il fine di creare un’unica grande basilica. Si ipotizza che i lavori, sovvenzionati dai Benedettini, iniziarono verso la metà del 1100 ma il ritmo andò scemando a causa dell’altalenante patrimonio dei Benedettini e anche perché questi furono costretti ad abbandonare Venosa, causa la soppressione del loro monastero da papa Bonifacio VIII nel 1297. Costui assegnò, nello stesso anno, il complesso ai “Cavalieri dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme” (in seguito noti come Cavalieri di Malta), i quali avevano perso i propri possedimenti in Palestina durante l’Ultima Crociata. L’Ordine non prestò attenzione all’impianto monastico della nuova chiesa e stanziò il proprio quartier generale all’interno di Venosa, nel “Palazzo del Balì”. Da quel momento la struttura non venne più completata ma vennero attuati altri interventi come il portale nel XIV secolo e il campanile a vela nel XVI secolo, ma a livello architettonico la Chiesa incompiuta rimase tale. L’ingresso, travalicato da un arco semicircolare, evidenzia una lunetta decorata da un’iscrizione propiziatoria che chiede la protezione di Dio sul Tempio e sui monaci, nonché la pace dello spirito e del corpo. Sopra la lunetta si trova l’agnello con la croce, ovvero il simbolo dell’Ordine dei Cavalieri di Malta. All’interno dell’Incompiuta, si possono trovare varie opere e ornamenti che appartenevano all’Anfiteatro Romano, come l’epigrafe della scuola gladiatoria di Salvio Capitone, che presenta un elenco di gladiatori che combattevano nell’Anfiteatro. Inoltre si possono ammirare vari bassorilievi come la Stele Funeraria dei Cinna, famiglia del console romano Lucio Cornelio Cinna, il Gruppo di tre Vipere e varie sculture normanne. Adiacente alla Chiesa Incompiuta, il Parco archeologico conserva testimonianze comprese tra il periodo repubblicano e l’età medievale. È possibile ammirare il complesso termale, articolato in diversi ambienti come il “frigidarium”, alimentato da acqua fredda, composto da un mosaico pavimentale raffigurante animali marini, e il “calidarium”, il bagno caldo con piccoli pilastri in mattone. Si prosegue per il complesso episcopale della Santissima Trinità, contenente al centro una vasca battesimale a forma esagonale, preceduta da tre piccole navate, in una delle quali è ricavata una seconda vasca battesimale cruciforme. Costruito tra il I e il II secolo d.C., è stato privato di molte opere e ornamenti, attualmente collocati in altri monumenti di Venosa. L’Anfiteatro romano ha una forma ellittica, su tre piani, in parte costruiti fuori terra e in parte realizzati tagliando a terrazze il terreno in cui sorge. L’asse maggiore misura 70 m mentre l’asse minore 40 m. Oggi non è accessibile, ma ai suoi tempi accoglieva diecimila spettatori. L’anima di questa città infinita continua a parlare al visitatore, da ogni suo angolo, da ogni sua pietra.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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