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Taras delle meraviglie

Nell’antica Sparta quando i Parteni, i figli illegittimi nati fuori dal matrimonio durante la guerra messenica, vennero declassati alla condizione di schiavi e privati dei loro diritti ordirono una congiura. Ma per non essere annientati furono costretti ad abbandonare la madre patria alla volta della terra promessa dall’oracolo di Delfi.

A guidare i dissidenti nel lungo viaggio Falanto, il quale divenne l’ecista di un insediamento denominato Taras (dal nome di un eroe predorico) nella terra occupata da barbari e iapigi. La fondazione di Taranto, avvenuta secondo Eusebio di Cesarea,  nel 706-705 a.C., comportò la distruzione dei villaggi indigeni preesistenti da parte dei coloni lacedemoni, che si diramarono da Saturo, luogo del loro sbarco.

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La baia di Saturo, il primo sbarco greco (Leporano).

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Promontorio di Saturo, il primo insediamento greco.

Falanto si sostituì allora a Taras, figlio di Poseidone e della ninfa Satyria, dando vita ad una colonia che sarebbe divenuta, secondo la profezia dell’oracolo, flagello per gli Iapigi. E così fu, anche se nel 473 a.C., in occasione del barbaros polemos, i Tarentini e i loro alleati Reggini subirono una grande disfatta ad opera degli Iapigi-Messapi. Erodoto la definì “la più grande strage di Greci” a cui venne imputato da Aristotele il terremoto politico-costituzionale, che portò ad un vero e proprio cambiamento costituzionale: da oligarchico a democratico.

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La monumentale necropoli di viale Marche, a Taranto.

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Taranto, eccezionale tomba a quattro camere.

Nonostante il cambio di scenari non accennavano a placarsi gli attriti con la popolazione messapica, restia a rinunciare alle terre che dominava da secoli, ma soggiogata dal fascino della cultura ellenica.

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Splendori della Taranto greca dal Museo Nazionale Archeologico

Sotto il governo di Archita, la città dei due mari visse il momento di massimo splendore, divenendo, tra il 370 e il 356 a.C., capitale della Lega italiota e faro di cultura e civiltà, così come testimoniato dalla ricca documentazione archeologica.

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Taranto, le mura della città spartana.

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Taranto, gli scavi in località “Belvedere”.

Alla morte del massimo stratega, che aveva sconfitto Messapi e Lucani, iniziò ad avvertirsi sempre più minacciosa la pressione delle bellicose popolazioni confinanti in una fase di conflittualità, che vide vacillare la precaria leadership spartana sui centri indigeni e su quelli della lega italiota. Il canto del cigno coincise nel III sec. a.C. con la venuta dei condottieri stranieri alla testa di milizie mercenarie. Non fu più possibile ristabilire l’ordine, ponendo fine all’anarchia dettata dagli appetiti e dalla bramosia dell’aristocrazia. La supremazia territoriale venne irrimediabilmente compromessa dalle mire espansionistiche di Roma, che privò dell’indipendenza, dell’autonomia e del diritto di coniare moneta quella che fu un tempo la capitale della Megale Hellás.

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Museo Nazionale Archeologico, mosaico romano.

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Taranto romana

Dopo cinque secoli di splendore si offuscava la gloria della colonia laconica tagliata fuori dai traffici da Brindisi, fondata nel 244 a.C. come testa di ponte verso l’Oriente.

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Taranto, scavi d’epoca dell’anfiteatro romano.

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Taranto, scavi d’epoca dell’anfiteatro romano.

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Dalla gravina in territorio di Statte partiva l’acquedotto romano di Taranto.

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Condotto sotterraneo dell’acquedotto romano. Era lungo qualche chilometro.

Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente lentamente, ma inesorabilmente continuò la decadenza accentuata dalle invasioni barbariche, che non risparmiarono l’abitato dal ferro e dal fuoco delle invasioni bizantine, longobarde e soprattutto delle orde saracene. Nel 967 l’imperatore bizantino Niceforo Foca riconquistò la città allo stremo, restituendole finalmente la dignità perduta.

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Le arcate dell’acquedotto romano recuperate da Niceforo Foca.

Una pagina importante venne scritta durante la conquista normanna. Nel 1085, all’epoca di Roberto il Guiscardo, iniziò a profilarsi all’orizzonte il germe del Principato di Taranto, dominio indipendente dal Regno di Sicilia, concretizzato, dopo la dominazione sveva e il passaggio ai Francesi governati da Filippo I d’Angiò, da Raimondello Orsini del Balzo e soprattutto da suo figlio Giovanni Antonio.

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L’interno della Cattedrale di San Cataldo.

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Particolare del mosaico pavimentale della Cattedrale.

Sia padre sia il figlio furono artefici della creazione di questo potente feudo, che, tra il 1393 e il 1406, abbracciava gran parte della Puglia e un lembo della Basilicata. Proprio in età orsiniana i destini del principato di Taranto e della contea di Lecce, portata in dote a Raimondello dalla contessa Maria d’Enghien, si incrociarono. I tempi erano maturi per assistere al germoglio della radiosa provincia di Terra d’Otranto. Dopo alterne vicende il fiorente principato finì con l’essere annesso nel 1465 al Regno di Napoli in quel frangente sotto la corona aragonese.

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In un equilibrio politico solo di facciata continuarono ad andare in scena assedi e invasioni, ma anche insurrezioni popolari come quella esplosa tra il 1647-1648 sull’onda dei moti masanelliani contro la pesante pressione fiscale. Durante la dominazione spagnola Filippo II fece convergere nel porto tarantino le navi destinate a Lepanto, dove il 7 ottobre del 1571 si celebrò la vittoria della cristianità sui Turchi di fede musulmana.

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Nel 1734 Taranto entrò nella sfera politica dei Borboni, mentre nel 1799 partecipò alla breve parentesi della Repubblica Partenopea, che macchiò le piazze di sangue dei tanti repubblicani mandati al patibolo, perché ostili alla monarchia borbonica. Dopo un decennio di occupazione francese seguì il ritorno dei Borboni. L’inasprimento delle condizioni quasi disumane della plebe sfociò all’indomani dell’Unità d’Italia, nel brigantaggio, fenomeno misto di banditismo e di ribellione politico-sociale alimentato nelle campagne dal disagio sociale. Quella che si connotava come “guerra dei poveri” accese un riflettore sulla questione agraria per molti versi rimasta insoluta e fonte di disoccupazione sin nel dopoguerra.

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Probabilmente questo sentimento di lotta popolare fece esplodere il desiderio di riscatto, facendo puntare gli abitanti di Taranto agli inizi degli anni ‘60 su un’industria in grado di dare lavoro a migliaia di individui pronti ad abbandonare le campagne e a divenire operai. Il polo siderurgico cambiò le sorti di un territorio, che si candidava a divenire volano dell’industrializzazione del Mezzogiorno d’Italia. Ma sull’altare dello sviluppo venne sacrificato l’ambiente rimasto imprigionato nella morsa dell’inquinamento selvaggio, che ancora incombe e ammorba la città dei due mari.

testo di Lory Larva

fotografie di Alessandro Romano

che ringrazia per le foto d’epoca e dell’anfiteatro romano il dott. Marcello Bellacicco (www.filonide.it) per l’amicizia e l’impegno profuso nel divulgare la storia e le bellezze di questa città millenaria.

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