Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Lequile, sotto il segno di Roma

Lequile, sotto il segno di Roma

Lequile, ridente cittadina situata nel cuore della Valle della Cupa, secondo la tradizione trae le sue origini all’epoca Romana, quando si stabilì nella zona il centurione Leculo, il quale eresse una villa da cui sorse poi il primo villaggio.

Stando invece ad uno studio (G. Salimbene, 2010) sembra che l’etimo di Lequile sia da annodarsi all’espressione ‘ad leucum’, per cui in origine, dove ora sorge il paese, poteva esserci un lacus, ovvero un limpido specchio d’acqua.

Lequile, sotto il segno di Roma

All’interno della sede Comunale si custodisce una statua in cui la tradizione vuole riconoscere il fondatore della città, il centurione Romano.

Ad ogni modo, il sito, come tutta la Valle della Cupa, era certamente abitato sin dai primordi, come dimostra il menhir sopravvissuto, sopra il quale resistono alcune croci graffite in epoca cristiana, quando bisognava cristianizzare gli antichi segni dei culti pagani.

Lequile, sotto il segno di Roma

Durante il medioevo, dall’XI secolo al 1463, il casale di Lequile fece parte della Contea di Lecce e del Principato di Taranto. Nel 1291 ne fu signore Ugo di Brienne; nei secoli XIV e XV appartenne ai Bonomine, ai De Marco, ai Sambiase, ai Santabarbara e ai Marescallo. Nel 1433 Maria D’Enghien, contessa di Lecce, lo concesse in feudo al barone Guarini. Successivamente dal Doria, divenutone signore nel 1554, venne ceduto al Pansa; da questi alla nipote della famiglia Dell’Anna, e quindi al Graffoglietti, ai Venato, agli Imparato, ed infine ai principi Saluzzo che ne serbarono il possesso dal 1690 al 1806, data di abolizione della feudalità.

La cittadina infatti conserva ancora palazzi importanti e stemmi e blasoni disseminati nel centro storico.

Di quello che doveva essere il “castello” non c’è più traccia, ormai, anche se si può immaginare la posizione che doveva avere nel cuore del paese. Qua e là, restano stemmi e frammenti, depositati nelle corti…

…insieme a quelli ancora al loro posto, sopra gli archi e i portoni delle case nobiliari.

Accanto alla chiesa matrice c’è il palazzo che conserva la balconata più appariscente di tutto il borgo…

…una balconata sorretta da mensole e mascheroni veramente straordinari…

…intagliati con perizia nella pietra locale…

…e che riproducono soggetti irreali e mostruosi, nella più classica della tradizione di questo tipo di decorazioni barocche.

Con la luce del tramonto, la pietra dorata spicca per il suo caldo aspetto.

La chiesa matrice, dedicata a Maria SS. Assunta, fu ricostruita nel 1746 sull’area della precedente, probabilmente su disegni di Mauro Manieri. Si presenta con il prospetto incompleto, privo del fastigio finale. La facciata, divisa in due ordini, è decorata  da capitelli finemente scolpiti e quattro nicchie a conchiglia.

L’interno, a croce latina, presenta sei cappelle ospitanti altari riccamente decorati, due dei quali attribuiti a Mauro Manieri, con pregevoli tele, tra cui si distingue quella della Vergine Immacolata con i SS. Francesco d’Assisi e Caterina da Siena, riconducibile a Gian Domenico Catalano. Nella navata sono collocati gli altari delle Anime del Purgatorio, dell’Immacolata e della Vergine del Rosario, a sinistra, del Cuore di Gesù, del Presepe e di Sant’Oronzo, a destra. Poi, altri due altari, dedicati all’Addolorata e al patrono San Vito.

Come detto, San Vito Martire è il patrono della città…

…ed ora visitiamo la “sua” chiesa…

E’ una costruzione barocca edificata tra il 1661 e il 1670 su progetto di Salvatore Miccoli. Presenta un elegante prospetto diviso in due ordini da una cornice aggettante. Quattro pilastri racchiudono due nicchie ospitanti le statue di San Pietro, con in mano le chiavi del paradiso, e di San Paolo, con in mano la spada. Al centro il finestrone con eleganti cornici sagomate, al di sopra del quale è posto il cartiglio con la dedica del popolo lequilese al suo patrono: D.O.M. DIVO PATRONO LEQUILENSIUM PIETAS AUGUSTIUS INSTAURAVIT A.D.1670.

L’interno è un capolavoro. La grande cupola emisferica, poggiante su un alto tamburo percorso da lesene e finestre, è ricoperta da mattonelle di ceramica policroma disposte a squame. All’interno presenta una pianta a croce greca con otto altari e nove grandi tele che raffigurano storie di Santi.

Tutta la chiesa è un tripudio d’arte.

Qui siamo davanti ad un monumento che, invece, capita raramente di poter visitare…

…la chiesa di San Nicola.

La chiesa di San Nicola o del Redentore, è databile alla fine del Seicento e fu opera, molto probabilmente dell’architetto Salvatore Miccoli. La cupola, con rivestimento a palmette ceramicate restaurato tre il 1983 e il 1984, è sostenuta da un alto tamburo con finestra a sesto ribassato, raccordato con volute e sormontato da balaustra.

L’interno, a croce greca, ospita l’altare maggiore della prima metà del Settecento, con quattro colonne poggianti su alti plinti e altre due colonnine corinzie tortili, anch’esse riccamente decorate. Al centro dell’altare è posizionato un affresco del 1692 raffigurante il Crocifisso.

Il centro storico è disseminato di piccole cappelle, anche esse ricche di storia ed arte…

Qui siamo all’interno di una di esse di cui, purtroppo, non sono riuscito a risalire al nome…

…ma mi ha molto incuriosito per questa tela.

Qui siamo di fronte alla chiesa di Santa Maria della Consolazione, edificata nel 1601.

Fra le meraviglie storico artistiche di questa città c’è il convento francescano, per visitare il quale vi rimando ad un altro articolo.

Fra i palazzi storici del borgo c’è la casa di una famiglia ebrea, testimonianza della presenza di questa comunità ancora fino al tardo medioevo, quando poi furono cacciate, come un pò ovunque, in Italia.

La dimora conserva numerose iscrizioni, sulle finestre.

Qui sopra si nota anche la stella di David, accanto a questa iscrizione.

La Guglia di San Vito, realizzata nel 1694 in pietra leccese, è opera dello scultore locale Oronzo Rossi. Ha pianta piramidale con elementi floreali e vegetali e termina con la statua di San Vito.

L’emblema dell’aquila si ritrova un pò ovunque, in città.

Dragoni è una frazione di Lequile. L’origine del nome non è accertata. Secondo lo storico Giacomo Arditi il paese trasse il suo nome da un’insegna romana recante il simbolo del drago, da cui appunto Dragoni. L’ipotesi è collegata all’idea di due diverse insegne romane una col simbolo dell’aquila che avrebbe dato il nome a Lequile, l’altra col simbolo del drago da cui il nome a Dragoni. Nel 1137 il feudo di Dragoni venne ceduto dal conte Accardo di Lecce al Monastero di San Giovanni Evangelista di Lecce. Nel Seicento fu eretto la colonna dell’Osanna. Un tempo, la domenica delle Palme, il clero e i fedeli benedicevano i rami di ulivo e le palme in quel luogo, cantando l’Osanna al Figlio di David. Ancora tutt’oggi si ripete in questo luogo antico e simbolico la Benedizione delle Palme.

Qui si trova la seicentesca chiesa dedicata a San Basilio.

A Dragoni, ma anche nelle immediate campagne, si riscontrano frantoi ipogei che sono la testimonianza dell’antica attività agricola che sosteneva il paese.

Vicina è Masseria Tramacere, col suo splendido pozzo rinascimentale, testimonianza di un grande passato di questa contrada. Per approfondire questa visita vi rimando ad un altro articolo.

Le campagne di Lequile custodiscono una delle più grandi neviere di Terra d’Otranto, prova di inaspettati commerci in questa landa soleggiata del Mediterraneo…

La neviera aveva un custode, che viveva praticamente accanto alla struttura, in questa casa oggi in rovina…

…ma che pure ci fa capire quale doveva essere la sua importanza.

Nel territorio, anche quella che sembra essere una specchia, un grande cumulo di pietre che forse serviva a controllare il territorio circostante.

Un fascino senza pari: la visita a questa cittadina, posta a due passi da Lecce, non mancherà di sorprendervi ed emozionarvi!

(fonti: i pannelli informativi in città e wikipedia)

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