Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Manduria messapica e il suo Museo

Manduria messapica e il suo Museo

Quando iniziai a capire veramente la città messapica di Manduria, ero ammirato dalla sua grandezza. Ero enormemente sorpreso dalla potenza che doveva aver raggiunto quel popolo, che era stato capace di costruirsi non una ma ben tre cinte murarie, lunghe chilometri, a protezione dell’abitato.

Manduria aveva l’impianto di antiche città come Micene e Corinto, caratterizzate da una doppia porta ed una strada dritta che le attraversava, un sistema caro ai Greci. Ero davanti a qualcosa di grande, ancor più di quello che immaginavo, in chissà quanta parte nascosto sotto la città moderna. Una gigantesca necropoli, per secoli ha accolto i morti di questa piccola grande nazione, nella pietra, la stessa roccia con la quale hanno eretto il loro mondo, le case, le mura. Tutto sembra riportarci ancora a quei tempi, qui, passeggiando in questa splendida macchina del tempo. Il luogo forse più straordinario di Manduria è il Fonte Pliniano, una perenne sorgente d’acqua, forse anche un santuario, un luogo di culto per quelle antiche genti che popolavano il Salento, “la terra fra i due mari” come la chiamavano i Greci. All’interno di una grande caverna naturale, di 18 metri di diametro, sgorga una sorgente, le cui acque si raccolgono attraverso un sistema di vasche comunicanti, in un pozzo centrale, da cui, quasi miracolosamente, il livello dell’acqua non sale e non scende, anche attingendo da una delle vasche. La caverna ha un foro sulla sommità, che al di sopra è racchiuso da una corona di blocchi monolitici, che ha visto quasi poeticamente nascere un albero di mandorlo. Scendendo l’ampia scalinata scavata nel banco roccioso, si ha la viva sensazione di tornare indietro nel tempo! Plinio il Vecchio descrive questo luogo come posto fuori le mura della città, il che però contrasterebbe con questo fonte. In effetti, nei dintorni, come rilevato dalla stesse guide del parco, ci sono altre caverne simili, ed una di esse non molto distante da questa, posta fuori dalle mura. E al confine col territorio di Sava ce n’è una quasi gemella, al fonte manduriano. Le somiglianze sono molte. A cominciare dalla sua pianta circolare, i suoi “sedili” esterni, che, scavati nella roccia, circumnavigano tutto il perimetro, il lucernario, che si apre al centro. In un dipinto novecentesco di Giuseppe Pichierri si può vedere bene che al centro della grotta c’era anche il fonte! Ma torniamo a Manduria, e completiamo il viaggio nella macchina del tempo visitando il Museo Archeologico Terra di Messapi. Lì, dove sono confluite le scoperte degli ultimi decenni e i corredi funerari della necropoli, che lasciano incantato il visitatore. La gran parte dei vasi mandurini rientra in due grandi insiemi funzionali: i vasi da mensa o da banchetto, e i contenitori di sostanze per la cura del corpo. Il vasellame da banchetto comprende vasi per mescere, per bere, per attingere e versare, per trasportare e contenere liquidi ed infine per servire, contenere e consumare cibi cotti, come focacce, o crudi come frutta fresca o secca. Sono presenti quindi tutti gli elementi che compongono il cosiddetto “servizio da vino”, ossia i vasi greci “da simposio”, usati per il vino, la bevanda sacra a Dioniso. I contenitori di unguenti e profumi sono attestati sostanzialmente con due forme: la lekythos, a partire dall’età classica, e l’unguentario che, nella seconda metà del IV secolo a.C. la affianca, per poi sostituirla del tutto nel secolo successivo. Lo studio delle sepolture consente agli archeologi la possibilità di scoprire una considerevole messe di informazioni sugli individui, e quindi in genere sulla loro società, persino l’identità sessuale del defunto. A volte, il riutilizzo delle tombe favorisce un miscuglio che rende più difficile lo studio, ma in genere gli esperti riescono sempre a venirne a capo, fissando la loro attenzione sugli oggetti ricorrenti nelle sepolture. La presenza di armi consente di stabilire l’identità di personaggi molto importanti, come pure ci rende partecipi del difficile livello di coesistenza che ebbero i manduriani, ed in genere le città messapiche, con la potente colonia spartana di Taranto, con la quale si ritrovarono spesso in conflitto armato. In un giorno imprecisato del 473 a. C. si svolse infatti, e questo è lo scontro più clamoroso, una sanguinosa battaglia fra Messapi e Tarantini. Scrisse Erodoto: “Fu questa la più grande strage di Greci che noi conosciamo, dei Tarantini non si poté nemmeno contare il numero di morti”. Osservando le sepolture femminili, si notano le fibule in bronzo, o talora in argento, che servivano a fermare i lembi del vestito e a impreziosirlo come spille gioiello. Vasi tipici femminili sono le olle e sopratutto la trozzella: questa, un vaso che contraddistingue tipicamente la civiltà messapica, accompagnava la sepoltura di una donna particolarmente importante all’interno della sua famiglia, assimilabile a quello della matrona romana. Il carattere molto esclusivo ed elitario della trozzella emerge a Manduria con chiarezza grazie allo scavo di Nevio Degrassi. Delle oltre 1300 tombe rinvenute, meno di un centinaio risultarono inviolate. Nei corredi di queste ultime, sicuramente utilizzate per più deposizioni, furono ritrovate appena venti trozzelle, distribuite su tre secoli. In questo ampio arco di tempo, le trozzelle mandurine conservano caratteristiche morfologiche e decorative peculiari, dotate verosimilmente di un loro significato, che purtroppo oggi ci sfugge. Poi, la necropoli manduriana ha restituito anche sepolture di bambini, realizzati con una deliziosa creatività. Sono dei vasi-biberon, poppatoi, dalle forme vivaci e colorate, che dovevano attirare l’attenzione del bambino. Splendido è il poppatoio in forma di rubicondo maialino, tutto colorato, ritrovato in una tomba del III secolo a.C., che trova confronti con molti altri siti del Mediterraneo. All’interno di questi vasi-biberon era spesso inserita una pallina di terracotta: dopo che l’infante aveva finito la poppata era così attirato dal rumore, agitando il vasetto, di sonaglino, che doveva certamente incutere molta curiosità. L’invenzione di questi sonagli è attribuita ad Archita, celebre filosofo dell’area tarantina, un uomo maiuscolo e dalle mille qualità, che in un’epoca di guerre e contrasti ci fa capire come l’Uomo pure seppe saggiamente operare, in questo angolo di fecondo Mediterraneo.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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