Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Liborio Romano, il Patriota oscurato

Liborio Romano, il Patriota oscurato

C’è un uomo dietro Garibaldi, Mazzini, Cavour, un nome assai meno noto, Liborio Romano, che molta parte ebbe nel processo dell’Unità d’Italia. Rimosso per 150 anni dalla storiografia ufficiale per il suo peccato veniale e sopratutto per aver posto per primo la Questione Meridionale al Cavour, sentendosi subito messo da parte, perché bisognava pensare prima “ad altre cose”.

Qui ripercorriamo brevemente la sua storia, prima di arrivare al suo “peccato”, per il quale ufficialmente non fu inserito nei libri di Storia. Una verità che soltanto da pochi anni sta lentamente arrivando alla portata della gente, anche grazie all’opera di Giovanni Spano, suo concittadino di Patù, presidente dell’Associazione Culturale Don Liborio Romano, che da qualche anno promuove una serata in cui premia gli studiosi che si sono interessati o hanno pubblicato scritti sul personaggio. Quest’anno è stato gli è dedicato anche un busto.

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Liborio era cresciuto fra idee liberali. Prima a Lecce, dove conobbe il poeta Francesco Cicala, che lo iniziò ai segreti della Carboneria. Poi a Napoli, dove si era recato per studiare. Ma ovunque andava era confinato dai Borboni a vivere ai margini della società. Non potendo insegnare, visse facendo l’avvocato. Ma era continuamente arrestato dalla polizia per via delle relazioni che lui intratteneva. Scontò quasi vent’anni in carcere. Condannato a subire terribili sofferenze nelle tremende segrete borboniche, visse in bilico fra queste e i periodi di scarcerazione, nei quali insisteva nei suoi affetti e nelle sue idee. Rientrò a Patù per la morte dell’amata madre. Poi ripartì, perché la sua carriera s’era fatta ormai strada a Napoli.

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Quando Garibaldi arrivò in Sicilia, dopo la strage di Palermo, il Re di Napoli, volendo calmare gli animi nel popolo, concesse la Costituzione, una serie di libertà, e sopratutto, volendo dare dimostrazione della sua buona volontà, nominò Liborio Romano Ministro dell’Interno del suo nuovo Governo. Mettendo proprio lui, un antiborbonico lì, era la migliore dimostrazione che volesse iniziare veramente il Cambiamento.

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A Napoli era proclamato lo stato d’assedio, in un regno che era comunque sull’orlo del disfacimento. Liborio, vedendo l’inferno e i saccheggi intorno a sé, aveva il cuore in tumulto: “Niuno ormai sa più a quali casi è destinato il suo domani”. Era questa la situazione in cui si ritrovò, prendendo il comando del prefetto di polizia. Era un’impresa da far tremare i polsi. Pure ci provò. Abolì le segrete e la pena delle “legnate”. Esortò i cittadini ad abbandonare le vendette e i rancori personali, e in Prefettura riunì i primi patrioti. La situazione era divenuta insostenibile per via delle violenze dei giorni precedenti, che erano rimaste impunite. I gendarmi erano invisi alla popolazione ed erano fuggiti, per salvarsi la pelle. Non c’era ormai più alcuna forza pubblica che potesse controllare l’ordine. Una sanguinosa anarchia dominava la città in fiamme. “Fra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata, uno solo mi pareva di almeno probabile riuscita: e lo tentai”. Giorni prima aveva visitato le carceri, e liberato in prima persona quasi tutti i detenuti. Fra questi aveva conosciuto Gennarina, una rara bellezza dalla pelle olivastra e gli occhi verdi, che gli ricordava la sua terra giù al Capo. La ragazza era indomita e dallo sguardo deciso e beffardo. Era stata rinchiusa per essere stata scoperta in compagnia dei capi clan camorristi. Così, Liborio le chiese di portare nel suo ufficio un rappresentante di quei capi. Voleva offrir loro la possibilità di riscattarsi, agli occhi di Dio e degli uomini, dando loro un posto nella polizia. Il boss si presentò davanti a lui, e ascoltò la proposta di Liborio e il suo parlare. E a quell’uomo, dapprima dubbioso, gli vennero gli occhi umidi, lasciò ogni diffidenza e tentò di baciargli la mano. Corse dagli altri camorristi, diede l’ordine di cessare ogni violenza, e poi tornò da Liborio, deponendo la sua vita nelle sue mani. “Se gli uomini purtroppo non sono interamente buoni, non sono neppure interamente perversi, se tali non si costringono ad essere”. Il provvedimento sortì gli effetti sperati, i disordini e le violenze cessarono. Certo, il suo atto aveva in sé il bene e il male, Liborio lo sapeva dall’inizio, era un “atto di disperazione”. Ma la Rivoluzione portata da Garibaldi non poteva essere fermata: gli andò anzi lui incontro, per predisporre il suo ingresso a Napoli senza che ricominciassero i disordini. “E Garibaldi, spettacolo sublime e indescrivibile, entrò in Napoli, solo, inerme e senza alcun sospetto. Tranquillo come se tornasse a casa sua, modesto come se nulla  avesse fatto per giungervi! Quella vista spegneva tutte le diffidenze, rassicurava i timori di tutti. Era la gioia di tutto un popolo, che si accalcava per andargli incontro, per vederlo, salutarlo, leggergli nel volto i più riposti sentimenti dell’animo”. Garibaldi invitò Liborio a sedere alla propria destra, sulla carrozza. E la gente liberava ovazioni per il proprio prefetto. Il Generale gli disse: “Io la felicito della popolarità di cui gode: bisogna valersene e continuare a servire il Paese”. Imbarazzato, Liborio fece capire a Garibaldi che non poteva diventare suo ministro, dopo esserlo stato fino a pochi giorni prima del Borbone. Ma Garibaldi gli rispose secco: “Non si tratta di essere ministro di alcuno, ma unicamente di servire il Paese”. Il giorno dopo, amici, patrioti e conoscenti, corsero a convincere Liborio ad accettare l’incarico, per non lasciare il potere in mani ignote, in un momento tanto delicato. Lui accettò solo per convincere Garibaldi a non marciare su Roma, perché questo avrebbe portato i francesi a Napoli con le armi in pugno.

casa di liborio romano

La casa di Liborio Romano, nel suo paese natale: Patù.

Quando però Liborio si trovò ad agire nel Regno d’Italia si rese conto della impossibilità di realizzare veramente qualcosa di concreto per il suo Meridione. Scrisse un’accorata lettera al Cavour, ma purtroppo la priorità non era il Mezzogiorno, che anzi da allora visse la spoliazione di tutte le sue risorse.

cappella

Tutte le speranze del popolo vennero così disattese. Liborio si dimise dall’incarico, per “sua incapacità”, come egli stesso ammise, non riuscendo a risolvere i problemi del sud Italia.

cappella liborio romano

Il Meridione continuò ad essere trattato dal Piemonte anche peggio del Borbone, come una sorta di paese conquistato, come un popolo barbaro e incolto, incapace di amministrarsi da solo. Personalmente, sto cominciando però a rivedere, in parte, l’atteggiamento del Cavour. Giordano Bruno Guerri, nel suo libro “Il sangue del Sud”, riporta alcune frasi del Cavour, quando l’Italia era stata fatta: “Niente stato d’assedio, nessun mezzo da governo assoluto. Tutti sono buoni di governare collo stato d’assedio. Io li (i meridionali) governerò colla libertà, e mostrerò ciò che possono fare di quel bel paese dieci anni di libertà. In venti anni saranno le province più ricche d’Italia. No, niente stato d’assedio: ve lo raccomando”. Inoltre, grazie ad un caro amico che mi ha fatto accedere alla preziosa Collezione Villani, ho potuto vedere una lettera autografata dal Cavour e col timbro del Ministro dell’Interno, indirizzata ai funzionari del governo a Napoli, che parlava probabilmente dei detenuti, nella quale scriveva: “I Napoletani si lagnano del modo col quale sono alloggiati. Forse si farà esagerazione, ma è opportuno il cercare a migliorare le loro condizioni. Facciamo il possibile e anche l’impossibile”. Tutto questo lascia presagire intenti benevoli, esattamente l’opposto di quelli che portarono (alla immediata e successiva morte del Cavour, 6 giugno 1861) l’Esercito a marciare contro i “Briganti” per chiudere con la violenza la “Questione Meridionale”. Una Questione che per Liborio Romano, e per il sud Italia, fu abbandonata tristemente.

lettera del cavour

La lettera autografa del Cavour

epigrafe liborio romano

Visse così nell’amarezza gli ultimi anni, Liborio, povero e senza più beni, dopo una vita dedicata ad un ideale di prosperità per il sud Italia che non riuscì a realizzare.

epigrafe casa liborio romano

Un animo idealista, che la Storia offuscò, ma con il quale, con le cui scelte, lotte e privazioni, ora, le coscienze contemporanee non possono più fare a meno di confrontarsi.

Grazie all’amico Giovanni Spano per l’opera meritoria che continua indefessamente a compiere nonostante mille difficoltà. A Francesco Accogli, per il suo libro “Il personaggio Liborio Romano” (Edizioni Il Laboratorio), da cui sono tratte le citazioni presenti in quest’articolo. Mario Spedicato (docente Università del Salento) e tutti gli studiosi che continuano ad approfondire questa figura storica pubblicando nuove ricerche. A margine vorrei esporre brevemente il mio personale pensiero: considero Liborio, come lo stesso Garibaldi, pedine manovrate astutamente dai Savoia con lo scopo di giungere alla conquista del Regno di Napoli. La sua “buona fede” servì solo ai loro scopi celati, che si conclusero con l’ultima grande annessione di un libero Stato Europeo, in epoca moderna. Il tutto, con l’aiuto di gran parte della nobiltà del Sud, astutamente “portata” a tradire il proprio Regno, con una tattica ben studiata a tavolino dai Savoia.

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