Scrivere un romanzo è sempre un’avventura speciale, ma vivere un viaggio di quasi 1000 km attraverso l’Italia per portarlo in un’altra città, diventa una piccola grande storia anch’essa, da raccontare! L’emozione è stato ritrovare tanti aspetti dei luoghi della mia terra (il Salento), che fanno da scenario al libro, che si sposano col resto della Nazione in un matrimonio d’amore!
Cercherò di farne qui un foto-racconto che possa restituirne un ricordo condivisibile. Partendo dal Salento, il cui perimetro costiero è sorvegliato da quasi 500 anni da una lunga serie di torri di avvistamento, un panorama a cui sono abituato sin da bambino…
…le fece costruire l’imperatore Carlo V durante il ‘500, vista la dilagante prepotenza turca nel Mediterraneo e le stragi da esse perpetrate in terra d’Otranto. Tuttavia, l’ordine dell’imperatore era di fortificare tutto il regno nel sud Italia, e risalendo la costa abruzzese ho potuto vedere una delle più antiche e poste più a nord…
…la torre di Cerrano. Risale al XVI secolo. E’ formata da un massiccio torrione a base quadrata, il cui lato misura circa 13 metri, mentre quello interno di 5,80 metri. Le mura hanno spessore decrescente e danno quindi l’aspetto inclinato, a mò di piramide. L’altezza è di quasi 14 metri. Quando fu costruita la ferrovia fu eretto un alto muraglione di contenimento subito a valle della torre. Agli inizi del secolo scorso la torre fu acquistata da un privato che la fece restaurare e rendere abitabile. La torretta superiore risale infatti a quel periodo, non essendo prevista dal progetto originario.
Continuando a risalire la costa adriatica lungo la Statale 16 mi sono fermato a Fano, nelle Marche. E ritrovo le tracce della grandezza Romana, che giù in Salento è rimasta in teatri e anfiteatri.
Fu un’importante città, nota come Fanum Fortunae, nome che rimanda al “Tempio della Fortuna”, probabilmente eretto a testimonianza della battaglia del Metauro nel 207 a.C. quando le legioni romane sconfissero il cartaginese Asdrubale, in marcia a tappe forzate verso il ricongiungimento con l’esercito di Annibale.
La città ebbe un notevole sviluppo durante il dominio romano grazie alla sua posizione strategica sulla via che congiungeva la valle del Tevere alla Gallia Cisalpina.
Appena nell’entroterra di Ancona, c’è il Santuario di San Giuseppe da Copertino, forse il Santo più straordinario della Cristianità, quello che volava…
…siamo a Osimo. E’ qui che giunse Giuseppe Desa, dal lontano Salento, nascosto in tutti i modi dalla Chiesa per via delle sue facoltà, diventato notissimo fra le genti, ovunque andava si formavano grandi adunate di credenti che volevano parlargli, anche solo toccarlo, o portargli via un lembo delle vesti…
All’inizio, la sua vicenda straordinaria attirò le indagini del Tribunale dell’Inquisizione, che nel ‘600 gettava facilmente al rogo chiunque era sospetto di eresia o abusasse della credulità popolare…
…ma l’umile fraticello se ne andava in estasi appena vedeva un crocifisso, e così gli accadde anche quando fu portato davanti al Papa. Che non trovò di meglio che nascondere un simile portento agli occhi della gente…
In questo santuario si sono custoditi parecchi dei suoi oggetti personali, e una visita in questo luogo restituisce un’aura sacra che si vive da poche parti nel mondo…
…per cui la consiglio a tutti (vedi qui per altre notizie-foto sul Santo).
Proseguendo verso nord, pochi km prima di arrivare nel centro storico di Ravenna, ci si imbatte nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe, insigne monumento che risale al VI secolo, consacrata nel 549 dal primo vescovo della città. Oggi fa parte dei siti italiani dichiarati Patrimonio dell’Umanità.
Quella croce, sul capitello, me ne ricorda una identica situata in un’altra antica chiesa bizantina nel basso Salento (Specchia, santa Eufemia).
A sinistra della chiesa c’è il campanile, che risale al IX secolo, di forma perfettamente cilindrica, costruito con particolari accorgimenti che lo rendono più stabile e leggero, in modo che possa reggersi senza rischiare di crollare.
La Basilica è ora proprietà statale…
…il suo interno è un vero e proprio museo di storia dell’arte.
Ma per la verità in questo viaggio, non avendo molto tempo a disposizione, mi premeva più di ogni altro visitare la tomba di Dante Aligheri…
…il grande poeta italiano famoso in tutto il mondo, che qui morì, ancora in esilio, perché allontanato a forza dalla sua Firenze, i suoi cari e la sua famiglia…
Gli appassionati e gli storici immagino già conoscano questo studio, fatto da un sacerdote salentino, don Grazio Gianfreda, nel quale si è ravvisata un’intima somiglianza fra la Divina Commedia dantesca e il mosaico della cattedrale di Otranto, un tappeto musivo risalente al 1163, un capolavoro ancora interamente conservato.
Nella immagine sopra (pubblicata da Edizioni Del Grifo per il testo appunto di Don Grazio Gianfreda) si ha una panoramica completa del pavimento della cattedrale, in cui il monaco-erudito che lo realizzò, “Pantaleone, come Matteo, raffigura i salvati alla destra dell’albero, i dannati invece alla sinistra, con un’iconografia a volte identica a quella di Dante: Cerbero e Caronte, il diavolo giustiziere, il dannato capofitto in un pozzo di pietra arso dal fuoco, le furie anguicrinite, i ladri assaliti dai serpenti, morsicati sull’una e sull’altra guancia e inceneriti, Satana, imperator del doloroso regno, il leone, la lupa, le arpie e il minotauro”. La rappresentazione dell’Inferno mostra anche la selva oscura, il che fa ipotizzare a don Grazio che sia Pantaleone che Dante abbiano attinto alla Navigatio Sancti Brendani, monaco irlandese del VI secolo, grande viaggiatore.
“Accanto a Satana, corre un dannato nudo e dalle mani legate con serpi, mentre i rettili gli ficcano la coda e il capo dietro le reni e lo trafiggono ricongiungendosi sul davanti: Correan genti nude e spaventate senza sperar pertugio ed elitropia con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda e ‘l capo ed eran dinanzi aggroppate”. Una simile e particolareggiata descrizione fa per lo meno supporre una visione diretta del grande poeta. Ma non è l’unica.
“Se tu sé, lettor, a creder lento, ciò che io dirò, non sarà meraviglia, ché io che ‘l vidi, a pena il mi consento. La trasformazione degli uomini in bestie che vediamo sul mosaico e che Dante ricorderà nella Commedia è, dice di De Santis, il più grande sforzo dell’immaginazione umana. i dantisti la dicono originalità del Poeta, ma dante dice d’averla vista: io che ‘l vidi. Forse, apparteneva alla cultura comune del tempo; forse è un’invenzione del mosaicista. Certo, non si tratta di una visione intellettuale, né di un’originalità di Dante. E’ ovvio che la grandezza del sommo Aligheri non ne viene per niente mortificata; anzi, viene ingigantita, perché egli rivela sempre più la sua cultura planetaria e non si attribuisce ciò che è di altri”. Come si intuisce, ho tratto questo virgolettato dal testo del Gianfreda (che potete trovare consultabile anche on-line) e il corsivo dalla Divina Commedia. Lo studioso fa notare anche, da alcuni versi del Convivio “esplicitamente il poeta dichiara di essere stato, una volta bandito da Firenze, legno senza vela e senza governo, portato a diversi porti e foci e liti dal vento secco che vapora la dolorosa povertate, e di essere andato così pellegrino, quasi mendicando, su e giù per l’intera penisola: per le parti quasi tutte a le quali questa lingua si stende. Anche il sottoscritto è convinto che Dante sia stato a Otranto: gli esempi sopra elencati dei soggetti presenti sul Mosaico e sulla Commedia sono tutti ben circostanziati, come nelle due immagini d’esempio.
Proseguo il viaggio con una profonda sensazione di gratitudine, verso i poeti e gli artisti del passato, ma anche per gli studiosi di essi innamorati, ai giorni nostri!
Presso la tomba di Dante vi sono alcune grandi tombe monumentali…
…chiostri molto ben conservati…
…ed anche un pezzo di pavimento di strada medievale, rimasta intatta! Ravenna già così, mi ha reso felice!
Il viaggio, sempre più a nord, mi porta a Ferrara, dove non potevo mancare, nel cinquecentesimo anniversario del capolavoro di un altro grande poeta delle glorie italiane, Ludovico Ariosto, col suo mitico “Orlando furioso”!
Ferrara è erede di un importante patrimonio culturale del Rinascimento, qui hanno vissuto anche Torquato Tasso, e gli scienziati Copernico e Paracelso, e poi Mantegna e Tiziano, Pico della Mirandola e Pietro Bembo, ossia il fior fiore della pittura e della letteratura!
Il monumento più rappresentativo della città è il castello Estense, chiamato anche “Castello di San Michele” poiché la prima pietra è stata posata il 29 settembre, festività dell’Arcangelo. Inizialmente fu concepito come una costruzione militare, ma nel 1476 Ercole I d’Este ne fece la sua dimora signorile, addobbandola con ogni sfarzo.
Ma io volevo semplicemente vedere la casa di Ludovico Ariosto, alla cui vita ed opera mi appassionai fin da giovincello…
Un uomo dalla tempra particolare, amante della tranquillità e degli studi letterari, ma pur servitore del signore d’Este, per il quale fu costretto a svolgere mansioni anche pericolose, come quando fu da lui spedito a governare la Garfagnana, regione infestata dai banditi. Le necessità della vita lo obbligarono ad aver pazienza, a perseverare nella lotta nel realizzare i suoi sogni, sia letterari che quelli romantici: non poteva sposare l’amore della sua vita, la vedova Alessandra Benucci, per non farle perdere la rendita del precedente matrimonio, essendo lui ancora impossibilitato a mantenerla. Solo in maturità, si rese finalmente indipendente, opponendo un secco “no” al suo signore che voleva portarlo con sé in Ungheria, e facendosi costruire finalmente la sua casa…
Sulla sua facciata si legge ancora l’iscrizione: “Parva, sed apta mihi, sed nulli obnoxia, sed non sordida, parta meo, sed tamen aere domus”, ossia “Piccola ma adatta a me, non tributaria ad alcuno, non misera e tuttavia acquistata solo con denaro mio”…
Qui l’Ariosto trascorse gli ultimi anni, dedicandosi alla terza e definitiva redazione dell’Orlando Furioso, del 1532. All’interno nel piano nobile, oggi è sistemato un piccolo museo dedicato al poeta: vi si trovano un calco del suo calamaio, la sua sedia e vari altri oggetti. Sul retro della casa si trova un giardino creato all’epoca del poeta, oggi anche questo utilizzato per concerti ed iniziative temporanee.
Direzione nord, scalando i Colli Euganei, presso Padova, miro a visitare la casa di un altro grande poeta: Francesco Petrarca, nell’incantevole borgo di Arquà. Una casa rimasta intatta!…
…dove si conserva ancora la sua sedia! Il Poeta venne qui nel 1364, quando, per curarsi alle terme dalla scabbia, si era trasferito ad Abano Terme. L’anno dopo divenne canonico presso la collegiata di Monselice e quattro anni dopo ebbe in dono un terreno proprio qui. Ci venne ad abitare nel 1370. Iniziò allora il suo soggiorno nel borgo medievale, che egli stesso definì “Il mio secondo Elicone”. Così viene descritta Arquà al tempo del Petrarca, in un documento conservato nel Museo Civico di Padova: “Vasti boschi di castagni, noci, faggi, frassini, roveri coprivano i pendii di Arquà, ma erano soprattutto la vite, l’olivo e il mandorlo che contribuivano a creare il suggestivo e tipico paesaggio arquatense“.
Questo è il panorama che vedeva alla finestra…
Siamo ormai arrivati a Padova, davanti alla basilica di Sant’Antonio, una delle chiese più grandi del mondo, visitata da quasi 7 milioni di pellegrini l’anno!
Fra questi, mi ci metto anch’io, visto che resto convinto che il mio romanzo, e la storia che c’è in esso, non sarebbe mai nata senza una sua particolare… intercessione!
La piazza antistante ospita anche il monumento equestre al Gattamelata, il celebre condottiero della repubblica Veneta, Erasmo da Narni (costruita nel 1446), opera dell’altrettanto celebre scultore Donatello.
La facciata è alta 28 metri circa ed è larga circa 37. Sul tetto della basilica si trovano otto cupole e due esili torri adibite a campanili, che toccano i 68 metri di altezza.
Una volta all’interno è difficile non “sentire” nell’aria l’odore stesso di un luogo che ha accolto un uomo prodigioso, che tanto fece per la gente, e dalla cui gente, beneficiata da incredibili miracoli, è stato ed è amato come forse nessun altro al mondo, nella schiera dei santi della Cristianità.
L’intera chiesa è un infinito scrigno di capolavori d’arte…
…ma il vero tesoro si trova nella tomba sulla navata sinistra…
…che accoglie le spoglie di Sant’Antonio, incessantemente accarezzate dalle preghiere di un viavai infinito di fedeli e credenti.
Dalla strada verso la tappa finale, non posso non notare il castello scaligero di Soave (Verona), già appartenuto al casato dei Della Scala, e che dal 1226 passò di mano in mano, anche nell’abbandono, prima della rinascita moderna.
Eccomi a Verona, davanti alla sua celebre Arena. La mia Lecce (e l’adiacente Rudiae) conta il record di avere due anfiteatri romani, ma giustamente questo è molto più famoso, nel mondo, forse perché è stato più amato dalla sua città.
Una capatina sotto il balcone che ricorda la storia di Romeo e Giulietta, vicenda divenuta immortale grazie al genio di William Shakespeare…
…non si può dire non sia stato un viaggio romantico! Ero invitato qui da un’Associazione Culturale, Gli Amici del Salento di Verona, che presso la Feltrinelli Express mi ha fatto raccontare il mio romanzo, “L’Alba del Difensore degli uomini”. Un viaggio, nel vero senso della parola. Che sfugge ad ogni tentativo di classificazione tipologica, scrive una recensione.
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