Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Miggiano, un viaggio

Miggiano, un viaggio

Miggiano, piccolo borgo antico, a vocazione agricola, ha destato l’interesse degli studiosi dell’arte bizantina persino da Ravenna, capitale in Italia dell’Impero Romano d’Oriente.

In questo paese, infatti, troviamo un’interessantissima cripta, dedicata a Santa Marina. Contiene forse la più antica rappresentazione della morte della Madonna che sia mai stata affrescata in un ipogeo. Entriamoci, in punta di piedi, grazie alla proloco, che rende fruibili i luoghi storici di questo borgo. Purtroppo molti affreschi si sono rovinati col passare dei secoli, tuttavia, una discesa in questo antico luogo del tempo riporta al visitatore echi di un mondo perduto assai vividi e intensi. La cripta venne edificata tra il X e l’XI secolo, ed in tempi successivi svolse probabilmente la funzione di cappella funeraria. Legata alla cripta diverse tradizioni popolari: si narra che le donne del luogo scendessero nell’ipogeo affinché la santa intercedesse per loro. Altra tradizione vuole che i fidanzati vi scendessero con ai polsi legati sette nastrini colorati per rinsaldare il loro amore. La cripta si trova al di sotto dell’omonima chiesa, nei pressi del cimitero, poco fuori dal centro di Miggiano. L’accesso era dato da una scala scavata nella roccia. Superato l’ingresso si accede ad un ambiente di forma quadrata: sulla sinistra è posto l’accesso per un vano a forma trapezoidale, mentre sulla destra un altro vano, dalla forma semicircolare, che per anni ha svolto la funzione di ossario del vicino cimitero. Nella sala d’ingresso si trova, in una nicchia, l’affresco di Santa Marina: questo è stato realizzato nel XV secolo e la santa si presenta nella classica iconografia con palma e martello tra le mani ed è affiancata da un drago e un angelo orante; alla base dell’affresco, prima dei lavori di restauro, si leggeva la scritta “Terrae Migiani”. Nell’ambiente di sinistra sono presenti altri affreschi: la Dormitio Viriginis risalente all’XI secolo e, rovinato in più parti, raffigura la Vergine distesa, circondata da sei apostoli che celebrano il suo funerale e Cristo, il quale reca tra le braccia una bambina in fasce, simbolo dell’anima della madre. Seguono gli affreschi di San Nicola, con il santo abbigliato con tipico costume episcopale bizantino, di Santa Caterina, posto in un arco arche poggia su due colonne con capitelli, dell’Arcangelo Michele, ritraente probabilmente l’angelo del giudizio citato nell’Apocalisse di Giovanni, di un Santo anonimo, ossia un giovane dai lineamenti gentili, vestito con tunica e mantello e con una scritta esegetica illeggibile, e Committenti, posti al di sotto dell’affresco dell’arcangelo, in posizione orante, e che ritraggono i committenti della pittura della Dormitio Virginis. Nell’ambiente absidato sono inoltre conservati una base di una colonna e di un altare, di dubbia interpretazione e risalenti probabilmente alla frequentazione bizantina della cripta. Miggiano ha avuto origine durante il X secolo, in epoca bizantina. E’ assai suggestivo trovare le sue radici ancora intatte con una visita in questo luogo così fulgido di storia e sacralità. Il culto verso Santa Marina si riscontra anche nella chiesa matrice di San Vincenzo Martire, dove recentemente sono stati riscoperti alcuni affreschi che la ritraggono e che sono fra i più antichi di questo tempio, che fu costruito nel XVI secolo, ed ha subito molte modifiche e ampliamenti nel corso dei secoli. L’interno è costituito da tre navate con transetto, nelle quali si aprono profonde cappelle laterali con relativi altari tardo-barocchi. L’area presbiteriale ospita un pregevole coro e un altare maggiore impreziosito da una tela raffigurante san Vincenzo martire, dipinta nei primi anni del XVII secolo dal neretino Donato Antonio D’Orlando. Il settecentesco Palazzo Vernaleone, costituisce una delle più importanti dimore storiche del paese. Il palazzo, posto un tempo lungo una delle vie d’accesso all’abitato, era l’abitazione del fattore incaricato di gestire i proventi delle proprietà terriere ecclesiastiche. Il centro storico mostra tante peculiarità. Belle le tante canalette in pietra leccese che un tempo servivano a raccogliere l’acqua piovana. Interessante la ripetuta presenza del fiore a 6 petali, il cosiddetto “fiore della vita”, arcaico simbolo ricco di significati fra tante civiltà diverse e nei secoli più disparati. La proloco apre alle visite anche un grande frantoio ipogeo, oggi un vero e proprio museo, riportato alla luce dopo un corposo restauro. Si tratta di uno dei più grandi, in assoluto, di tutto il Salento, scavato interamente nella roccia, questo ci suggerisce di collocarlo a partire dal XVI secolo, in quanto i frantoi invece voltati a botte e semi ipogei, risalgono a tempi più recenti. Discendere qui sotto, osservare i vari ambienti di lavoro, il letto di pietra dove riposavano questi irriducibili lavoratori, la stalla degli animali, i tanti reperti degli oggetti di vita quotidiana, è veramente come fare un viaggio indietro nel tempo. Ed una sorpresa, ci riporta ancora più nei meandri della storia di questa terra, una scoperta, che risale agli anni 90 del secolo scorso nel territorio a sud est di Miggiano, in località Rutti-Sala. Si tratta di enigmatiche sculture in pietra tufacea locale, rinvenute nei pressi di caverne frequentate a partire dall’Eneolitico finale. Due sculture, in particolare, presentano delle peculiarità che le rendono intrise di mistero: una di esse ha il collo appena accennato, la nuca intonacata e dipinta, come a significare dei capelli. Presenta il volto pressoché sfigurato, senza lineamenti. L’altra presenta invece dei lineamenti del volto ben definiti, un busto appena abbozzato, in parte intonacato con evidenti tracce di colore, sulla testa è visibile un incavo su cui doveva essere allocata una corona, un elmo o un cappello di pietra. La loro datazione e interpretazione sono molto incerte, sebbene nell’area del loro ritrovamento sia stata rinvenuta ceramica ad impasto di età protostorica. Le sculture litiche di Miggiano trovano uno stretto confronto con le stele daunie, ossia sculture in pietra locale  rinvenute nel territorio della Piana Sipontina. Maria Luisa Nava ha analizzato oltre 1200 stele e quelle che la studiosa classifica come “teste iconiche del tipo I” (riferite cronologicamente all’età del Ferro, tra il IX e il VI secolo a.C.) presentano le più interessanti analogie con le sculture individuate a Miggiano. Si tratta di “teste in cui i tratti del viso sono ottenuti con tecnica mista: a rilievo appaiono infatti il naso e le orecchie, mentre ad incisione sono realizzati gli occhi e la bocca”. Secondo la Nava, queste costituivano la sommità di una colonnetta o di un piedistallo liscio o sfaccettato, alto 40-50 cm. La testa era separata dalla base, come si evince dalle evidenti suture: “il pilastrino-segnale di tomba e la maschera (del defunto) applicata alla sua sommità” avevano diversa origine. La funzione di questi manufatti, probabilmente, era quella di segnacolo di tombe. Enrico Pellegrini pone in relazione la presenza di sculture litiche antropomorfe, rinvenute in diversi insediamenti della Puglia settentrionale, con il rituale funerario della tarda età del Bronzo (XIII-X secolo a.C.), fase in cui sono attestate in Puglia le tombe a tumulo. Un’altra ipotesi è che si tratti di sculture di età moderna e/o contemporanea collocate al confine di poderi o masserie, presenti numerose in questo lembo di territorio. Secondo il Carbone e il Marra, la scultura che presenta il volto sfigurato e senza lineamenti raffigura una divinità funeraria, con la funzione di veicolare un messaggio che riguarda il destino ultimo dell’uomo, richiamato nell’Antico Testamento della Bibbia: “[…] tu non puoi vedere la mia faccia, perciochè l’uomo non mi può vedere, e vivere” (Esodo, XXXIII, 20). Per quanto riguarda la seconda scultura (quella con i lineamenti del volto ben definiti), gli stessi scopritori ritengono che rappresenta un defunto o un guerriero. Solo ricerche di superficie sistematiche nel territorio e un eventuale scavo dei tumuli potrebbero chiarire la cronologia e la funzione di queste sculture dall’espressione enigmatica. Ma intanto rendono bene l’idea dell’importanza che ebbe questo territorio sin dalla nascita della civiltà in queste contrade.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

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