Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Le meraviglie di Gravina in Puglia

Le meraviglie di Gravina in Puglia

Da un antico manoscritto esistente nella locale biblioteca Finya risulterebbe che la città di Gravina fosse stata chiamata dall’Imperatore Federico II “Giardino delle delizie”. Questo attributo potrebbe sembrare oggi esagerato, ma allora era ben giustificato, ove si pensi che Gravina in quel tempo si distingueva sia per i numerosi e vasti boschi, ricchi di selvaggina,

sia per le pittoresche colline rivestite di pampini e di ulivi; sia per la fertilità del suo territorio e sia per l’esistenza di un lago artificiale posto nelle vicinanze dell’abitato della “Pescara” e formato da una diga situata all’inizio del burrone la “Gravina”. A breve distanza dal lago e dal castello esisteva la vasta “Selva o Foresta”.

gravina in puglia

La città si affaccia su un habitat rupestre tra i più spettacolari d’Italia ed ha una storia lunga che si dipana tra i secoli a partire dall’età del Bronzo, solcando i tempi di Peuceti, Romani, Normanni e delle grandi famiglie nobiliari. L’area rupestre recintata sul bordo della gravina è del più grande interesse e ci ricorda un episodio del quinto secolo, quando le orde dei Vandali distrussero l’antica città (i cui resti sono visibili nell’area archeologica di Botromagno o Petramagna ) e gli abitanti superstiti dovettero rifugiarsi nelle grotte del costone sottostante.

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Ma di questa storia sono protagonisti anche i tratturi pastorali che s’incrociavano a Gravina: il grande tratturo che scendeva da Melfi a Castellaneta e i tratturelli che provenivano rispettivamente da Tulve e da Matera. I tratturi, con il loro incessante flusso di greggi e di pastori, spiegano il villaggio di grotte che fascia la parete occidentale della gravina e il gran numero di masserie “di pecore” e di jazzi nei dintorni, che segnano il paesaggio verso la Murgia.

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Le grotte sono state poi riutilizzate in più riprese, anche nel secolo scorso, come stalle e depositi di servizio per i lavori nei campi circostanti, ma anche come abitazioni di fortuna.

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Qui sopra siamo davanti alla chiesa e cripta Santuario della Madonna della Stella, precedente al XV secolo.

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Siamo nella cosiddetta Grotta Rupestre Pagana…

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Il nome dalla Madonna della Stella deriva, secondo la tradizione, da una raffigurazione della Madonna, oggi scomparsa, decorata con una stella d’argento sul manto azzurro, oggetto di un fervido culto in età rinascimentale per la sua fama di dispensatrice di miracoli, e si affaccia sul ciglio della Gravina.

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Vi si accede da un piccolo giardino, salendo alcuni gradini che portano nella grande aula che conserva un altare e le curiose panche laterali di pietra destinate al riposo dei pellegrini. Non rimane traccia di affresco sulle pareti dell’antico luogo sacro, destinato forse in età classica ad un culto pagano; della chiesa si conserva un altare tardo-barocco.

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Lo studio dell’interno e dell’esterno mi fa supporre che la chiesa sia stata costruita in due fasi, con la parte superiore, cui si accedeva dalla finestra attuale, realizzata nel IX-X secolo e consistente in una chiesa a due absidi abbinate, e la successiva trasformazione nel XV secolo, con lo sbancamento e allargamento della parte inferiore, l’adattamento dell’antica recinzione nell’attuale struttura dell’altare e la trasformazione dell’antico bema (area sacra) in sacrestia. Interessante il bassorilievo della pecora in alto a destra, di fianco all’arco dell’antica arcata, probabilmente pendant di un’altra figura, vandalizzata, che doveva essere scolpita in alto a sinistra.

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Adiacente, una interessante necropoli che risale agli insediamenti indigeni Peuceti, che occuprano questa parte di Puglia secoli prima dei Romani.

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La chiesa-grotta della “Deesis o Padre Eterno” (XI secolo) si trova a ridosso della vallata della “Gravina”, ad ovest del ponte viadotto-acquedotto, nel bel mezzo della necropoli ai piedi di “Pietramagna”. Essa non fu completata: prevedeva uno schema a due navate.

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Oggi risulta completa la parte esterna con il bell’ingresso laterale. All’interno sono visibili tre arcate con colonne spezzate, che immettevano nella navata incompleta di sinistra, priva di abside, con traccia di sedili. L’unica abside fu profanata per creare un altro ingresso, per cui la Deesis affrescata fu rovinata: oggi è visibile la testa del Cristo e alcuni tratti laterali di San Giovanni e della Vergine. Gli altri affreschi, raffiguranti San Nicola, San Pietro e un diacono, furono asportati e ricomposti in un ambiente della Fondazione Ettore Pomarici-Santomasi, al lato degli affreschi della cripta San Vito Vecchio. Nel pavimento, dinanzi all’ingresso, ci sono due grandi cavità, utilizzate probabilmente per sepolture.

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Gianluigi Vezoli

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