Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website La situazione del rupestre in Puglia e a Matera

La situazione del rupestre in Puglia e a Matera

Con la presente, un cospicuo gruppo di Soci di Associazioni Culturali e privati cittadini Italiani, ma soprattutto Pugliesi, desiderano porre alla Vostra attenzione i risultati dell’INCONTRO, tenuto a Palagianello (TA) domenica 3 ottobre 2021, promosso dal gruppo AMICI DEL RUPESTRE IN RETE,

in collaborazione con il MUSEO DEL TERRITORIO DI PALAGIANELLO.Terzo incontro, che segue i due precedenti tenuti nel 2017, che ha avuto lo scopo di fare il punto sulla SITUAZIONE DEGLI INSEDIAMENTI DEL RUPESTRE DI PUGLIA E DI MATERA.

SINTESI FINALE
All’incontro hanno partecipato 13 relatori provenienti da 11 città pugliesi:Andria/Bat, Bari, Castellaneta, Ginosa, Laterza, Grottaglie, Lecce /Salento, Massafra, Mottola, Palagianello, Taranto, più una delegazione proveniente da Matera. Nonostante l’Incontro non avesse una veste istituzionale, molti relatori sono rappresentanti di associazioni legate alla cultura rupestre dei reciproci territori, nonché sono docenti e studiosi accreditati da studi sul rupestre, od operatori turistici che lavorano alla diffusione culturale e alla valorizzazione dei siti rupestri del proprio territorio.
All’incontro hanno relazionato i sigg:
– Architetto Francesca Clemente, già Presidente della Proloco di Laterza e attualmente direttore artistico Pro loco Laterza.
– Avv. Prof. Giulio Mastrangelo, Presidente Archeoclub d’Italia Terre delle Gravine di Massafra, Cultore di Storia del Diritto presso il Dipartimento Jonico dell’Uniba.
– Dott. Carmine De Gregorio, Dottore in Scienze Ambientali, Storico Locale, fondatore dell’Aps “Nobilissima Taranto“di Taranto.
– Dott. Francesco Foschino,Dottore in Economia, Guida turistica della Basilicata, cofondatore della rivista Mathera, Membro dell’Associazione ANTROS.
– Dott. Sergio Chiaffarata, Storico e Speleologo, consigliere incaricato del Sindaco di Bari per le politiche di valorizzazione degli insediamenti rupestri e degli ambienti ipogei, Presidente dell’Associazione Historia Ludens, membro del direttivo dell’Associazione Centro Studi Normanno-Svevi, Membro dell’IRAHSSE/AIRDHSS, membro del CRIAT– Centro di ricerca interuniversitario per l’analisi del territorio.
– Dott. Stefano Calò, Archeologo indipendente, membro del Comitato scientifico dell’Ecomuseo delle serre di Neviano, membro dell’APS Vivarch di Otranto.
– Dott.sa Antonella Cassano, Archeologa, membro dell’associazione Amici delle Gravine, delegata FAI di Castellaneta.
– Dott.sa Carmela D’auria, Archeologa libera professionista ora all’Infopoint di Mottola, membro dell’Associazione “Terre Nostre”.
– Annalisa Pinto, Guida ambientale Aigae, membro fondatore dell’ APS (associazione di promozione turistica) Grott’Art di Grottaglie.
– Marianna Caragnano, Guida turistica abilitata della Regione Puglia, Presidente APS “I Portulani – I guardiani del borgo antico” di Palagianello.
– Pietro Di Canio, Speleologo, Guida Turistica accreditata, già Ispettore onorario della Soprintendenza Archeologica per il comune di Ginosa.
– Prof.sa Rosalinda Romanelli, Docente di Storia dell’arte antica e medievale presso l’Accademia di Belle Arti di Bari.
Erano assenti, e non hanno potuto rappresentare il loro territorio, il Dott. Giuseppe Donvito di Fasano e la Dott.sa Elena Saponaro di Altamura.
A conclusione delle esposizioni dei vari relatori, è intervenuto il Prof. Paul Arthur dell’Università del Salento.
Hanno moderato l’incontro gli organizzatori: Prof. Domenico Caragnano, Archeologo, Docente, Presidente del Museo del Territorio del Comune di Palagianello, studioso del fenomeno rupestre (su cui ha pubblicato numerosissimi saggi) e il Prof. Gianluigi Vezoli, ex Docente di materie artistiche, Moderatore del Gruppo Fb: Amici del Rupestre in rete, appassionato e studioso del fenomeno rupestre nel mondo, in particolare di quello dell’India e della Puglia.
Quasi tutti i relatori fanno parte di associazioni o enti culturali, ma anche tra il pubblico presente c’erano vari rappresentanti di Istituzioni pubbliche e private. In particolare tra relatori e pubblico (per un totale di 60 persone), le associazioni /enti rappresentati sono state:
1. ACCADEMIA BELLE ARTI CATANZARO
2. ACCADEMIA DI BELLE ARTI BARI
3. AMICI DELLE GRAVINE DI CASTELLANETA
4. ANTROS MATERA
5. APS “I PORTULANI” PALAGIANELLO
6. APS GROTT’ART GROTTAGLIE
7. APS VIVARCH OTRANTO
8. ARCHEOCLUB D’ITALIA TERRE DELLE GRAVINE, MASSAFRA
9. ARCHEOGRUPPO MASSAFRA
10. ASSOC.CENTRO STUDI NORMANNO-SVEVI, BARI
11. ASSOC. IRAHSSE/AIRDHSS LEUVEN
12. ASSOCIAZIONE HISTORIA LUDENS BARI
13. CAI BARI
14. CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE HABITAT RUPESTRE MASSAFRA
15. CHIAVE DI VOLTA LATERZA
16. ECOMUSEO SERRE DI NEVIANO NEVIANO
17. FAI CASTELLANETA
18. GRUPPO SPELEOLOGICO OSTUNESE OSTUNI
19. GRUPPO SPELEOLOGICO VESPERTILIO SALISANO (RI)
20. INFOPOINT MOTTOLA
21. MUSEO DEL TERRITORIO PALAGIANELLO
22. NOBILISSIMA TARANTO TARANTO
23. PRO LOCO LATERZA
24. RIVISTA MATHERA MATERA
25. TERRE NOSTRE MOTTOLA
26. UMANESIMO DELLA PIETRA MARTINA FRANCA
27. UNIBA – CRIAT BARI
28. UNITRE LIZZANO
29. UNIVERSITA’ SALENTO LECCE
Questi enti e associazioni, con la rappresentanza dei docenti interessati per quanto riguarda Accademie ed Università, si pongono obiettivi vari nei loro statuti, ma tutte hanno stretti rapporti con il Patrimonio Rupestre e gli aspetti economico – culturali che vi gravitano. Sono composti da varie tipologie di soci che in alcuni casi (come Castellaneta, Otranto, Massafra, Taranto) sono assai numerosi. Va infatti rilevato che se le Amministrazioni Pubbliche sono cieche di fronte all’enorme Patrimonio Rupestre che abbiamo in tutto il sud Italia, compresa la Puglia, molti studiosi, ricercatori, operatori ed appassionati cittadini sono interessati ed attivi nell’affrontare le varie realtà rupestri.
I relatori hanno fatto il punto della situazione sugli insediamenti rupestri delle loro entità territoriali, per far conoscere:
1. Le condizioni globali attuali (morfologiche, statiche, di proprietà, ecc.), delle principali
unità rupestri del territorio (villaggi, chiese, sistemi idrici, ecc.), considerando i siti agibili e
fruibili dal pubblico, rispetto a quelli inagibili.
2. I progetti di salvaguardia /conservazione e di recupero: previsti/ o in attuazione/ o terminati
che hanno riguardato i siti rupestri del proprio territorio.
3. I progetti di messa in sicurezza e di accessibilità ai siti.
4. I progetti di valorizzazione attuati sia da parte di enti pubblici che di privati.
5. Attività/iniziative in atto, relative alle realtà rupestri: associative, editoriali, espositive, ad uso
teatrale/cinematografico, religiose, ecc.
6. La risposta turistica al rupestre, laddove sia presente.
Alcuni relatori hanno rispettato la scaletta prevista, altri hanno privilegiato gli aspetti culturali del
rupestre del loro territorio, mentre altri hanno specificato il ruolo ed il compito delle loro
Associazioni nell’ambito del Rupestre, in rapporto a collaborazioni con le amministrazioni o ai
lavori di ricerca che svolgono sul territorio.
Data la nostra esperienza di tanti anni in qualità di appassionati e studiosi del Patrimonio
Pugliese, desideriamo anche noi, come organizzatori dell’Incontro, partecipare a questa
Relazione Finale, per cui inseriremo anche nostre osservazioni, constatazioni e risultati di studi
emersi negli ultimi 4 anni.
In complesso emerge che alcune realtà associative collaborano con l’Amministrazione
Comunale, ma solo nella valorizzazione di siti importanti già conosciuti, dove si occupano della
guida turistica nelle visite ai siti.
Della manutenzione dei siti, praticamente nessuno se ne occupa, se non il Comune nel caso di
visite di personaggi importanti, mentre spesso sono gli stessi soci delle associazioni a ripulire i siti
a mò di volontariato.
La salvaguardia degli accessi, è inesistente per la maggior parte dei siti, mentre recentemente è
stata attuatala cura degli accessi solo in due casi tra tutti quelli considerati.
Un elemento costante che si rileva è la condizione di abbandono di molti siti, sia villaggi rupestri
in gravina o nelle lame, sia di unità rupestri isolate, spesso costituite da chiese. Qui si perpetua un
costante degrado artificiale, dovuto non solo ai riusi del passato e ai furti di affreschi perpetuati
nel secolo scorso, ma anche da forme di vandalismo recente, dovute a scritte con bombolette
spray da parte di giovani scapestrati, che deturpano e rovinano le superfici naturali o scavate che
costituiscono gli ambienti tipici della cultura rupestre.
Per capire meglio di cosa stiamo parlando vogliamo ricordare che i siti rupestri, naturali e
artificiali, dell’antica Terra D’Otranto tra Puglia e Matera, superano ampiamente le 3500 unità, di
cui 2551 risultano grotte naturali, molte delle quali antropizzate nei periodi preistorico e
protostorico, e 1177 le cavità artificiali di vario tipo. (Elenco Catastale delle Cavità censite dalla
FSP, Marzo 2013). Mancano all’appello numerose unità rupestri artificiali scoperte ed accatastate
dal 2013 ad oggi, sia dell’arco Tarantino e di Matera, ma soprattutto del Salento.
Di tutte queste, circa 400 sono Chiese rupestri: urbane, con diversa funzione originale sia funeraria
che liturgica, e campestri/rurali, costituite da una  notevole quantità di piccole cappelle private, a
scopo sia funerario che liturgico, disperse negli agri.
Di questi siti cultuali, notevole interesse è stato dato, dalla ricerca scientifica e dalla pubblicistica,
all’importanza degli affreschi, dal X al XIII secolo ed oltre, che decoravano le chiese rupestri; un
patrimonio di migliaia di affreschi, di cui purtroppo rimane meno del 10%, in quanto la maggior
parte dei dipinti è andata persa per cause naturali: crolli di pareti, crolli degli strati superficiali
calcarenitici, eventi meteorici, infiltrazioni dalle falde acquifere sotterranee, ecc. ed a cause
artificiali dovute a vari tipi di vandalismo e alle modifiche/ adattamenti/ricostruzioni perpetrate
nei secoli, e in anni recenti, nel cambio di uso dei siti, che da religiosi sono stati trasformati in
abitazioni, stalle, laboratori. Questa realtà emerge ampiamente nelle 12 relazioni dei nostri
specialisti, dalle quali si evidenziano sfaccettate situazioni, spesso differenti negli
interventi avvenutinei 12 centri considerati.
Per cui, in generale, emergono situazioni che vedono privilegiate le chiese rupestri urbane di
notevole interesse artistico, rispetto ai villaggi rupestri, sempre urbani, o agli insediamenti rupestri
isolati nelle gravine o nelle lame. Questo sia dal punto della conservazione che della
valorizzazione.
E’però evidente, che,se vogliamo porci all’interno di una corretta politica culturale, vada
affrontato l’aspetto del recupero degli antichi manufatti storico – archeologici di questo
Patrimonio Rupestre e vada attuato un processo di valorizzazione degli stessi siti. Aspetti che
sappiamo presentare numerose problematiche.
La prima da prendere in considerazione è la proprietà del sito, perchè è evidente che se
l’obiettivo culturale è la fruizione del sito stesso, le sue condizioni non possono essere delegate ai
privati, ma all’Amministrazione Pubblica, che ne deve acquisire la proprietà.
Da qui verifichiamo che alcune delle nostre chiese e villaggi urbani, ubicati nei centri storici, presi
in considerazione dalle 12 relazioni, sono di proprietà dell’amministrazione pubblica, mentre la
stragrande maggioranza delle chiese, molte assai importanti e tante altre di minore importanza
e spesso in cattive condizioni, ma sempre interessanti dal punto di vista artistico, religioso e
sociologico, sono ancora di proprietà privata. Al contrario quasi tutte le strutture rupestri extra
moenia, sia di carattere abitativo, lavorativo che di tipo cultuale, sono di proprietà privata.
Le condizioni di questi siti privati hanno subito, in alcuni casi e con esiti a volte discutibili,
interventi di recupero a Matera, mentre in Puglia, a parte poche situazioni fortunate di alcune
Chiese rupestri site a Fasano, Monopoli, Massafra, Mottola, Carpignano Salentino, e in pochi altri
comuni, la maggior parte delle cripte risultano in cattivo stato.
Anche la maggior parte dei famosi trappeti, i frantoi rupestri tipici della Puglia, che per secoli
hanno fornito olio lampante a tutto il mondo conosciuto, giacciono abbandonati sia nei centri
abitati che nelle campagne. Alcuni Comuni si sono fatti carico di acquisirne la proprietà e
restaurarne alcuni, ma il numero è esiguo rispetto alla enorme quantità presente sul territorio in
stato di grave degrado.
E’ infine accertato che la stragrande maggioranza delle cavità rupestri isolate, dei villaggi siti nelle
gravine o degli insediamenti ipogei che troviamo nelle aree pianeggianti o nelle aree costiere,
sono ancora quasi tutte di proprietà privata.
La condizione morfologico – ambientale dei siti è molto varia, con le situazioni privilegiate delle
unità ipogeico/rupestri cittadine,site in zone protette dall’aggressione della vegetazione e dalle
condizioni metereologiche, rispetto a quelle che si trovano nelle gravine, dove i crolli sono
all’ordine del giorno,e a quelle situate nelle lame, dove la vegetazione e l’umidità ne impediscono
la fruizione e ne causano un rapidissimo deterioramento. Esempio ne sia la situazione di
innumerevoli affreschi fotografati 20 – 30 anni fa in condizioni visibili, che oggi sono
completamente scomparsi. Una perdita enorme, se consideriamo che quegli affreschi erano
migliaia, diffusi in tutto il sud Italia, e che rappresentavano il Museo a cielo aperto di pittura alla
Greca e bizantineggiante più vasto di tutto il Mediterraneo Occidentale.
Anche l’approccio progettuale al rupestre è diversificato. L’iniziativa maggiore di manutenzione
(non il restauro) e valorizzazione dei siti è gestita da associazioni o da enti privati, formati da
volontari e guide amanti del loro territorio e del Patrimonio Rupestre, che si prendono cura dei
siti più importanti. Alcune amministrazioni comunali hanno intrapreso con le Soprintendenze
opere di restauro, soprattutto degli affreschi, mentre purtroppo registriamo interventi
incompetenti (in quanto affidati ad architetti senza la consulenza di archeologi) che hanno
snaturato l’ambiente e le funzioni originali del sito. Di fatto l’attenzione degli enti pubblici alla
conservazione/valorizzazione del Patrimonio Rupestre pugliese è assai carente, per cui si può dire
che i progetti previsti dalle amministrazioni regionali e locali sono inconsistenti rispetto alla rete
di bisogni urgenti e di valorizzazione culturale richiesti dagli insediamenti rupestri stessi. Infatti se
già nel Piano Strategico della Cultura della Regione Puglia 2017-2026 (PiiiL CULTURA IN
PUGLIA), non si faceva cenno al Patrimonio Rupestre, a noi risulta che nel 2020 – 2021 sia stato
approvato dalla Regione Puglia un solo progetto relativo alla messa in sicurezza del complesso
rupestre di S.Stefano a Castellaneta.
Anche dalle Soprintendenze ci risultano scarse forme di interesse che riguardino la salvaguardia di
siti architettonici e cicli di affreschi degli invasi rupestri, a parte Matera che con la nomina a
Capitale della Cultura 2019 ha beneficiato di numerosi interventi di restauro.
Le Università sono interessate ad altri temi rispetto quelli che riguardano il periodo
paleocristiano /medievale di cui fa parte la maggior parte del Patrimonio Rupestre Pugliese e
Materano. Ci risulta infatti che a tutt’oggi siano state attivate solo ricerche di campagne di scavo a
Poggiardo, Località Vaste, Dell’ Università Del Salento, su un complesso paleocristiano con
cimitero rupestre, conclusosi nel 2019; il recente Progetto PRIN Sul Patrimonio Bizantino Dell’
Italia Meridionale, condotto dal prof. Paul Arthur dell’ Università Del Salento e il Progetto
DARHEM dell’ Universita’ degli Studi Della Basilicata, Sede di Matera – Scuola Di
Specializzazione In Beni Archeologici, per la compilazione di un Atlante digitale del Patrimonio
Rupestre.
In quest’ambito, a chiusura dell’Incontro, Il prof. Paul Arthur (Università del Salento) ha esposto
il progetto “Prin. Il Patrimonio Bizantino Dell’ Italia Meridionale. Insediamenti, economia e
resilienza di contesti territoriali e paesaggistici in mutamento.” Che sta portando avanti con 5
Università di 4 regioni del sud: Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, per approfondire ricerche
archeologiche e studi sull’influenza bizantina nell’Italia Meridionale. Argomento che recupera,
dal punto di vista cronologico, sociale, artistico e religioso, la vita in grotta e le forme di culto
nelle cripte. Uno studio che dovrebbe chiarire, forse definitivamente, la nascita delle prime
chiese rupestri dopo il tardo impero e il primo medioevo, la motivazione della loro collocazione
geografica, l’evoluzione della loro struttura architettonica, in gran parte derivata dal rito greco, e i
mutamenti o le persistenze avvenute nei secoli successivi, fino allo sviluppo della pittura bizantina
e bizantineggiante della fine del primo millennio d.C.
CONCLUSIONI
Orbene, si parla da decenni di valorizzare l’entroterra delle regioni a prevalenza turistico –
balneare, come la Puglia, con una politica di valorizzazione culturale che favorisca la circolazione
delle risorse economiche e la sinergia tra le varie filiere legate al turismo, quali i settori
agroalimentari, ambientali e del tempo libero. Ambiti dei quali i territori d’entroterra sono ricchi
e vanno fieri. Perché se consideriamo l’insieme dei siti visitabili tra Puglia e Matera, la quantità
che risulta fruibile dal pubblico è costituita da poche decine di chiese e pochissimi villaggi
rupestri.
Inoltre alcuni siti, che erano stati messi in sicurezza in passato, sono stati trascurati nel corso degli
anni e ora giacciono in abbandono.
Ma in questa politica di valorizzazione culturale, purtroppo, il Patrimonio Rupestre non fa parte.
Anche se qualche riferimento veniva fatto nel 2014 per intraprendere sinergie culturali con
Matera, comprese le successive iniziative atte ad agganciare sempre la città di Matera, in
previsione del suo riconoscimento a Capitale Europea della Cultura 2019. Ma in effetti, già nel
“PiiiL CULTURA IN PUGLIA, Piano Strategico della Cultura della Regione Puglia 2017-2026,
mentre attenzione particolare veniva data ai Cammini, ai Festivals, alle Fiere tradizionali, alle Arti
e al Teatro, ai poli Biblio-Museali, ecc. nessun accenno veniva dedicato al Patrimonio Rupestre
da salvaguardare e valorizzare.
Lo stesso dicasi per i progetti di finanziamento approvati dalla Regione nel 2021, dove nessuno, a
parte il caso già accennato di Castellaneta, è dedicato al Patrimonio Rupestre della Regione.
Vorremmo concludere con una breve panoramica internazionale per far notare come in India fin
dal secolo scorso siano stati resi agibili e fruibili ai turisti stranieri, centinaia di siti rupestri
Buddhisti e Induisti degli Stati di Maharashtra e Tamil Nadu; in Cina da decenni hanno reso
accessibili Monasteri rupestri Buddhisti appesi sulle montagne più impervie, per non parlare di
Petra e dei suoi meravigliosi patrimoni rupestri visitati ogni giorno da migliaia di appassionati
d’Arte e della Cultura, e per non dire della Cappadocia, patrimonio Unesco, con le sue
case/grotta ed intere città sotterranee, per altro così imparentata col nostro patrimonio rupestre
meridionale.
Continuando con gli insediamenti ipogei, con corte a pozzo, della Tunisia,famose quelle di
Matmata, meta imprescindibile di ogni turista che viaggi in quel paese; per continuare con le case
/ albergo rupestri dell’Isola greca di Santorini e di Malta, o quelle spagnole e francesi,
continuando, in casa nostra, con le realtà di Zungri (Calabria) e Pantalica (Sicilia) quest’ultima
divenuta, con la sua necropoli rupestre, sitoUnesco; per concludere con Matera, dove, anche se
lentamente, dopo la nomina a Patrimonio Unesco e la conseguente rivalutazione turistica di parte
dei quartieri dei Sassi e di alcune chiese, una certa attenzione viene ora data al recupero di altri
importanti siti rupestri prima abbandonati.
E cosa dire della Puglia? Cosa aspetta questa Regione a dare degna valorizzazione ad un tesoro
unico e raro quale è il suo Patrimonio Rupestre? Di far conoscere e visitare al mondo le centinaia
di Villaggi e Chiese rupestri che caratterizzano il territorio apulo dal Gargano, al Salento a
Matera???Certo alcune realtà rupestri hanno avuto il riconoscimento “Herity International”, come
il villaggio rupestre di San Marco a Massafra, il Villaggio Rivolta a Ginosa, la chiesa di S. Nicola a
Mottola, il Villaggio Petruscio a Mottola, il Frantoio Normanno a Taranto e le Grotte Del
Vallone a Crispiano, ma in concreto che conseguenze ha portato questo riconoscimento, che è
sconosciuto alla grande massa delle persone? Nessuno dal punto di vista turistico! Oltretutto se
pensiamo alle centinaia e centinaia di siti che aspettano di essere sistemati e valorizzati, ci
renderemo conto che questi pochi monumenti con riconoscimento Herity International, sono
una goccia nell’oceano del Patrimonio lucano/pugliese.
Un Patrimonio dove le culture si sono sovrapposte nei secoli e ci hanno lasciato tracce di
Cristianità Romana e di Cristianità Ortodossa, quest’ultima bacino di interesse che potrebbe
abbracciare gran parte del turismo culturale e religioso che dalla Russia passa per i paesi Balcanici
e la Turchia, per giungere a San Nicola a Bari; viaggio che invece potrebbe continuare
nell’entroterra di tutta Puglia e Lucania, dato il ricorrente culto di San Nicola e la vocazione al
culto Ortodosso delle antiche cripte bizantine del sud Italia. Stesso discorso vale per il culto
dell’Arcangelo Michele, la cui devozione passa dal Gargano fino a Matera e alcune aree del
Salento. A queste aggiungiamo la recente espansione che hanno avuto i Cammini su altre Vie
importanti, quali quella Francigena e della via Appia.
Un flusso turistico che si amplierà notevolmente al termine della pandemia in atto, ma che urerà
tutte le bellezze dell’architettura rupestre e di pittura alla Greca e bizantineggiante, racchiuse negli
splendidi Monumenti Rupestri parte di quell’enorme Patrimonio di siti che caratterizza
l’entroterra della Regione Puglia fino a Matera.
Ringraziando i partecipanti all’Incontro e gli appassionati che ci seguono, li preghiamo di dare la
più ampia diffusione a questo documento finale. Grazie
Prof. Gianluigi Vezoli, Prof. Domenico Caragnano
Inseriamo, come allegati, le relazioni scritte pervenuteci dai relatori dell’Incontro.
ALLEGATI ALLA RELAZIONE FINALE
RELAZIONI SCRITTE PERVENUTE
CASTELLANETA
Dott.sa Antonella Cassano,archeologa.
“ Se solo potessero parlare le mura di calcare delle grotte utilizzate come chiese, abitazioni, luoghi d’attività, i percorsi nascosti tra la vegetazione lungo il riparo naturale delle gravine, chissà quanto racconterebbero: storie di pellegrini giunti da lontano, preghiere, canti e noi oggi resteremmo estasiati nell’udir loro”. Il territorio di Castellaneta favorito dalla caratteristica naturale delle gravine – territorio che nell’arco Tarantino può vantare la presenza di numerose formazioni carsiche di questo genere – consta di diversi insediamenti rupestri già noti nella bibliografia di storici quali Medea1, Fonseca2, Dell’Aquila3, Mastrobuono4, Perrone5, Abatangelo6, Cassone7. Nel corso degli ultimi anni questa realtà relativa alla civiltà rupestre di Castellaneta ha assistito ad una lenta e continua attenzione da parte di giovani volenterosi –l’associazione Amici delle Gravine-al fine di poter prendere nuovamente contatto con la propria storia locale, constatare lo stato di fatto dei luoghi e soprattutto preservare la memoria degli stessi. Ed è proprio da quest’ultimo aspetto che si prende spunto per far presente all’interno di questa sintetica relazione dello stato di fatto in cui riversano gli insediamenti in grotta.
1 A. Medea , Gli affreschi delle cripte eremitiche pugliesi, 2 voll., Roma 1939
2 C. D. Fonseca, Civiltà rupestre in Terra Jonica, Roma-Milano 1970; etc.
3 F. dell’Aquila- A. Messina, Le chiese rupestri di Puglia e Basilicata, Bari 1998; etc.
4 E. Mastrobuono, Castellaneta e il suo territorio dalla Preistoria al Medioevo, Città di Castello- Bari 1943;
Castellaneta e i suoi documenti dalla fine del sec XII alla metà del XIV, Bari 1969
5 M. Perrone, Storia documentata della città di Castellaneta e sua descrizione, Noci 1896
6 P. L. Abatangelo, Le chiese rupestri di Castellaneta, ivi 2000
7 M.C. Cassone, La Civiltà rupestre e le cripte del territorio di Castellaneta, ivi 1981
8 E. Mastrobuono, Castellaneta e i suoi documenti dalla fine del secolo XII alla metà del XIV, Bari 1969
9 Mons. D. Colafemmina, Castellaneta medievale, origini, fatti e aspetti particolari, pp. 23-24
10 M. De Palo, Le istituzioni ecclesiastiche fra Medioevo ed età moderna, la visita pastorale a Castellaneta di Bartolomeo IV Sirigo, Congedo editore 1999.
Si parte dalla gravina grande (o vallone di Santa Maria) ove le pareti rocciose hanno garantito sicuro rifugio per gli insediamenti e le chiese in grotta che in essa si sono sviluppati, ossia: santa Maria del Soccorso (X-XI sec.d.C), Santa Maria del Pesco (XI-XII sec. d.C.) e Santa Lucia posta più a sud di quest’ultima. Fatta eccezione di Santa Maria del Pesco, di proprietà della parrocchia di San Domenico i cui resti del villaggio e di parte della primitiva chiesa in grotta – già come si affermava nei testi passati parte della stessa era stata abbattuta per dare spazio alla costruzione della chiesa romanica dell’Assunta- attualmente sono sotto il controllo dell’omonima parrocchia che ne garantisce la fruibilità e la pulizia, i restanti due insediamenti e annesse chiese in grotta su citati si trovano allo stato attuale in condizioni di degrado, ove solo alcune parvenze di strutture architettoniche ricordano le loro origini. Ad ogni caso preso in esame si attesta che lo stato di conservazione degli affreschi è in un continuo deterioramento sottoposti alla naturale azione degli agenti atmosferici. A non molta distanza in contrada Palma, sempre nel suburbio castellanetano, direzione Ovest, nella proprietà della famiglia Meledandri ricade la chiesa in grotta di San Martino ex Mater Chisti, quest’ultima invece localizzata due anni fa dagli Amici delle Gravine attraverso degli approfondimenti esattamente al di sotto dell’omonima chiesa del ‘600, a 150 m. ca in linea d’aria dalla prima. Quest’ultima raggiungibile da proprietà privata ha l’accesso obliterato da un muro di conci di tufo; al suo interno si conserva la suddivisione in navate ma essendo stata utilizzata in tempi passati come sepolcreto, di essa si conserva poco della sua originaria destinazione. Altrettanto dicasi della suddetta chiesa di San Martino (così come evidente nella platea Colizzi dell’anno 1742 definita Grotta San Martino e costeggiata dalla stretta stradina denominata “strettola San Martino”. A questo toponimo si ricongiunge il ricciolo di bacolo pastorale all’interno della grotta suddetta che farebbe supporre alla rappresentazione di un vescovo quale San Martino; l’ingresso è custodito da una cancellata in ferro ed al suo interno l’umidità è ulteriormente determinata dall’ingresso dell’acqua che copiosa precipita da un foro sul soffitto causato da un albero d’ulivo che imperioso la sovrasta e ciò sta alterando la sua conservazione. Procedendo in direzione sud si giunge presso il solco naturale della “gravinella” di Coriglione ove si conservano gli insediamenti in grotta di Santa Maria di Costantinopoli (IX-X sec. d.C) e Padre Eterno (XIV-XV sec. d.C). Entrambe ricadono in proprietà private, la prima proprietà Terrusi, la seconda proprietà Bianco, sono state oggetto di un progetto di riqualificazione nel 2005, di cui si conservano solo i pilastri realizzati in pietra antistanti i camminamenti d’accesso che conducono agli insediamenti, ma l’attività non è stata portata a compimento per inadempiute operazioni. Allo stato attuale la vegetazione che cresce incolta nell’area antistante il pianoro che porta all’insediamento di Padre
Eterno ha notevolmente compromesso la fruibilità del luogo. Per quanto concerne l’insediamento di Santa Maria di Costantinopoli si constata che la tenera calcarenite sta compromettendo l’intera struttura della chiesa che presenta sulla facciata una lesione determinata anche dal sovrappeso del terreno agricolo sovrastante. Lo stato di conservazione dei lacerti di affresco risulta molto alterato a causa sia della friabilità del calcare su cui sono stati realizzati sia a causa degli agenti atmosferici. A circa 3 chilometri dal centro abitato, nella gravina di Santo Stefano note sono la chiesa in grotta di San Michele Arcangelo (IX-X sec. d.C) e Santo Stefano con il suo insediamento (X-XI sec.d.C). Premesso che entrambe ricadono in proprietà Terrusi, riversano in uno stato di conservazione non ottimale, il cui deterioramento naturale per azione atmosferica è reso ulteriormente accentuato dalla fitta vegetazione che le contorna. Il villaggio e l’omonima chiesa di Santo Stefano accessibili attraverso un dromos-corridoio risulta alquanto compromesso e altrettanto dicasi per l’accesso alla chiesa di San Michele, posta a circa 300 m. più a sud, il cui sentiero di comunicazione tra i due siti attraverso la gravina è ricoperto dalla vegetazione rigogliosa mentre il suo accesso dalla parte soprastante per mezzo della gradinata ottenuta nel banco roccioso, in parte è crollata. E’ fondamentale attraverso la presente analisi dello stato attuale del patrimonio rupestre far presente che quest’ultimi insediamenti saranno i protagonisti del progetto intitolato: “Il Parco rupestre di Santo Stefano, esperienze suggestioni visioni sulle tracce bizantine”. Trattasi di un grandioso progetto presentato dall’Associazione Amici delle Gravine supportato da un team di tecnici Arch. Rosanna Bussolotto e Ing. Francesco Comes e grazie alla disponibilità del proprietario il sig. Vito Terrusi che ha messo a disposizione “dell’associazione e di tutti” i beni in oggetto con un regolare contratto di comodato d’uso gratuito. Il progetto fa capo al bando Pubblico promosso dal GAL “IL CIRCUITO DELLA BELLEZZA E DELL’INCLUSIONE”INTERVENTO 4.2 – I SITI RUPESTRI DELLE GRAVINE. I fondi messi a disposizione dal Programma di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Puglia per il periodo 2014/2020 ed in particolare dalla Sotto-misura 19.2 – Sostegno all’esecuzione degli interventi nell’ambito della strategia di sviluppo locale di tipo partecipativo del PSR regionale, e (di cui all’Art. 35, par. 1, b del Reg. UE n.1303/2013) appartenenti alla propria Strategia di Sviluppo Locale (SSL), attraverso il Piano di Azione Locale (PAL), un progetto che, attraverso un set di Azioni ed interventi ben precisi, ha il compito di tradurre gli obiettivi della Strategia in azioni concrete. L’intervento proposto vuole mantenere e ripristinare una “connettività in un paesaggio come già evidenziato, frammentato, attraverso la promozione di azioni strategiche per la conservazione e la riqualificazione dello spazio naturale. Mira al miglioramento delle condizioni di salvaguardia dell’offerta eco-turistica e di fruizione del patrimonio storico culturale con riferimento a beni appartenenti a Castellaneta che possono diventare luoghi di attrazione e distinguersi per la loro “rilevanza strategica”, premessa imprescindibile per il consolidamento e la promozione di processi di sviluppo territoriale, a seguito di una valutazione critica di rilevanza ecologico naturalistica ed ecosistemica, rilevanza storico culturale delle persistenze, simbolico percettiva del valore paesaggistico, rilevanza fruitiva per l’accessibilità e percorribilità degli itinerari eco-turistici”. Sarà possibile effettuare una visita “esperienziale” all’interno della Cripta Santo Stefano. Poiché non si ritiene opportuno intervenire con un restauro tradizionale sulle pareti in quanto si rischierebbe di perdere l’opera pittorica, per particolari motivi come il degrado fisico, si è pensato in una visione nuova di intervenire con una performance quale il restauro virtuale, detto anche restauro elettronico o digitale, ovvero l’insieme di elaborazioni svolte con l’ausilio della computer grafica bidimensionale o tridimensionale che permettono una ricostruzione o ipotesi di ricostruzione di un bene artistico. Grazie al finanziamento si renderanno ancora più fruibili e riconoscibili percorsi naturalistici con la realizzazione di sentieri su terreno battuto, individuabili mediante cartellonistica o segnaletica e percorribili solo a piedi. La presente descrizione dello stato attuale del rupestre vanta un ulteriore tassello che si aggiunge alla ricostruzione della storia della civiltà rupestre di Castellaneta. Negli ultimi mesi l’associazione Amici delle Gravine supportata dalla collaborazione con il Club Italiano Alpino, sezione Gioia del Colle d’intesa con la Soprintendenza archeologica di Taranto, nella persona del Dott. Rotondo, è riuscita a riscoprire un insediamento rupestre in località Minerva, di cui si erano perse le tracce e il cui ritrovamento ha suscitato l’interesse anche della dott. Manuela De Giorgi, docente di storia dell’arte bizantina dell’Università del Salento, giunta in visita. Trattasi di un’area ricadente in proprietà privata della famiglia Romano. La presenza di numerose cavità poste sugli spalti rocciosi, hanno dato origine ad un insediamento sviluppatosi in verticale: abitazioni, pozzi per la raccolta dell’acqua, magazzini. A ciò si aggiunge il ritrovamento di una chiesa in grotta perfettamente orientata ad Est, con resti di un affresco che rimanderebbe ad una Déesis. Purtroppo ciò che si conserva di quest’affresco è davvero esiguo: a sinistra il Cristo, riconoscibile dall’aureola crucigera con accanto le lettere del suo monogramma XC (Kristòs) ed affiancato da una seconda figura maschile, giovane con barda che rimanderebbe secondo lo schema iconografico a Sa Giovanni. L’intitolazione della chiesa è incerta ma l’unico documento che cita Minerva è un privilegio del feudatario normanno Riccardo Siniscalco il quale nel 1088 donò al Vescovo di Castellaneta una chiesa intitolata “San Giorgio/Gregorio di Minerva”.
La caratteristica territoriale carsica ha costituito un elemento fondamentale per l’adattamento successivo di alcune cavità naturali allo scopo abitativo e lavorativo. E’ quanto emerge anche nella riscoperta di una Castellaneta sotterranea di cui negli ultimi anni, grazie all’instancabile lavoro dell’Associazione Amici delle Gravine, si sta portando avanti al fine di comprendere come era l’originaria città che si sviluppò sul colle Archinto (altura sulla quale sorge l’odierno centro storico, prospiciente sul versante Est la gravina). Un vero e proprio mondo sotterraneo i cui accessi sono stati inglobati all’interno delle abitazioni che soprastanti le hanno inglobate. Molti di questi ambienti hanno subito delle trasformazioni d’uso per cui ad oggi ciò che visibilmente è possibile vedere è il loro ultimo utilizzo. Molti ambienti dimostrano la grande vocazione del territorio alla produzione di olio e vino; da qui la presenza di frantoi e palmenti sotterranei, in cui i lavoratori erano costretti a vivere per lunghi periodi con la fioca luce delle lucerne che illuminavano questi ipogei assieme agli animali che servivano come forza lavoro. Tra questi si cita il frantoio sotto la chiesa di San Domenico utilizzato sino agli anni ’60 del secolo scorso ed il palmento di proprietà del sig. Annibali Angelo. Quest’ultimo inserito in un contesto ancora più articolato, il cosiddetto Foveario di San Pietro- già citato in un documento locale del 1282- e che prende nome da un’antica chiesa dedicata all’omonimo santo, di cui si sono perse le tracce. In questo grande ambiente sotterraneo si conservano numerose fovee (grosse cisterne ipogee scavate nel banco roccioso che servivano alla conservazione delle derrate alimentari, specie cereali, e di cui oggi sono visibili solo gli ingressi scavati in alto, ossia tagli circolari da cui si immettevano le granaglie) e parte della grande cisterna d’acqua che “dava da bere” agli abitanti dell’antico centro cittadino. Numerose erano anche le chiese in grotta, così come sono state citate in una delle più note visite pastorali, quali quella di Bartolomeo Sirigo nel 1572. Tra queste possiamo vantare di aver riscoperto circa due anni fa la chiesa in grotta di San Giovanni alla Giudea nell’omonimo quartiere nel cuore del centro storico. Altre testimonianze di strutture sotterranee fuori le mura difensive del centro storico sono tutt’ora visibili in quella che in passato era definita come la zona “de li foggiali” dedita per l’appunto alla produzione dell’olio e del vino. Pertanto altri palmenti come quello del marchese locale Giovinazzi in Via del mercato e il vicinissimo frantoio ipogeo sito al di sotto della struttura “officine del mercato comunale” riportato alla luce grazie ad un’attività di scavo archeologico tra il 2018-2019; siti visitabili inseriti nel tour che l’associazione Amici delle gravine ripropone spesso durante l’anno per rendere consapevole la gente del luogo della propria storia sulla quale letteralmente cammina e i turisti-viandanti che specie durante la stagione estiva affollano le spiagge di Castellaneta Marina. La stessa associazione può vantare di essere parte integrante di alcuni progetti scolastici PON, in cui i veri protagonisti sono le scolaresche.
IL TERRITORIO DI ANDRIA
Prof.sa Rosalinda Romanelli. Nell’ampio territorio a nord di Bari, l’area più rilevante per quantità di insediamenti rupestri è quella di Andria. O per lo meno, questo riferisce la bibliografia storica sull’argomento che riporta i nomi di 14 siti: Lama di Santa Margherita, Santa Croce, Gurgo con la chiesa di San Michele Arcangelo, il quartiere grotte con chiesa di Sant’Andrea, il casale di Pantano, il casale Criptae, Santa Maria in Chiancula, il Casale di Andrae, il Casale di San Candido, il Casale di San Simeone, il Casale di San Martino, Casalino, Vicus Tremodiae, Vicus di Cicalio. Tra questi, l’unico ancora leggibile è quello affacciato sulla lama di Santa Margherita, a circa 2,5 km dalla città in direzione ovest, composto da circa undici grotte adibite nel tempo a differenti funzioni, e da una chiesa rupestre dedicata a Santa Margherita, decorata da quattro dipinti databili alla fine del XIII secolo, raffiguranti una Kyriotissa, una Madonna Galactotrophusa e due immagini agiografiche di Santa Margherita e di San Nicola. L’ubicazione degli altri siti è solo suggerita dalla toponomastica di alcune strade del centro storico e da qualche brandello di roccia in area periferica, sopravvissuto alle grandi trasformazioni che hanno travolto la città a partire dalla fine dell’Ottocento, che ricorda timidamente l’antica natura rupestre del luogo. Il vero elemento di pregio per il territorio sono altre tre chiese rupestri, Santa Sofia, Gesù di Misericordia e Santa Croce, affacciate sulle lame che solcano lo spazio urbano (Camaggi e Santa Croce), inglobate in una città che si è estesa mutando il proprio volto nascondendo o distruggendo l’insediamento abitato di cui la chiesa era parte integrante. Perso il tessuto connettivo della viabilità urbana medievale, risulta arduo comprendere e definire con attendibilità il ruolo devozionale di queste chiese extramoenia rispetto a un centro ideale, rappresentato dalla cattedrale e dalle chiese degli ordini mendicanti; così come difficile è valutare l’estensione, il livello di autonomia, la densità abitativa e la capacità di relazione di ciascun insediamento. Preziosi e inequivocabili segni di frequentazione e di devozione dei luoghi di culto sono un ricco corredo di immagini dipinte, databili tra XIV e XV secolo, che per scelte iconografiche e stilistiche, rimandano alla complessità del più aggiornato clima culturale della regione, per un verso in relazione con la Napoli angioina, per l’altro con l’area adriatica. Immagini raffinate, dedicate prevalentemente al culto della Passione, per committenti colti e fruitori sensibili, attestano una totale assenza di differenze tra la pittura rupestre e quella sub divo, e documentano la vitalità culturale degli insediamenti rupestri, tutt’altro che isolati o arretrati.
Le chiese sono di pertinenza della Diocesi e vertono in stati di conservazione differenti. Dalla fine del XVI secolo le chiese di Santa Margherita e di Santa Sofia sono inglobate in complessi santuari mariani e le immagini, sottoposte a restauri, godono di splendida forma malgrado le importanti ridipinture. La chiesa di Santa Croce costituisce il caso più fragile e delicato. In origine scavata in un banco tufaceo digradante verso la lama, dalla fine dell’Ottocento sorge isolata come una chiesa sub divo a causa dello sbancamento dell’area circostante. L’operazione volta al recupero di materiale da costruzione, ha provocato nel tempo un significativo cambiamento del microclima interno alla chiesa e reso i dipinti particolarmente fragili, nonostante i tentativi di consolidamento posti in atto con i restauri. L’interesse per i siti rupestri andriesi è veramente recente, e vivo è il desiderio di dare corpo a progetti di valorizzazione. Tuttavia, vi è una fase preliminare dalla quale non è possibile prescindere e senza la quale nulla accade: il riconoscimento del valore culturale di questo prezioso patrimonio, la necessità di recuperarlo e di tessere un legame con la nostra identità storica. E su questo c’è ancora molto da lavorare.
LA GRAVINA DI GINOSA E L’HABITAT RUPESTRE
Dott. Pietro Di Canio. Buongiorno a tutti i presenti e grazie per avermi concesso l’opportunità di parlare dell’areale rupestre di Ginosa. Sono Pietro Di Canio tra i fondatori dell’associazione Legambiente circolo Giano di Ginosa, già ispettore onorario per i beni archeologici del comune di Ginosa, per il triennio 1995- 1998, collaboratore del professor Pietro Parenzan nello studio integrale della gravina di Ginosa, provengo dalla formazione speleologica.
Le attività oggetto della mia relazione sono state strategicamente ideate e realizzate in seno al locale circolo di Legambiente, seguendo due direttrici. La prima relativa all’impegno politico e giuridico di contrasto alle scellerate scelte urbanistiche, causa delle aggressioni al patrimonio storico-ambientale che in quegli anni andavano a compiersi. La seconda attuata parallelamente tramite una azione pratica, progettuale concretizzata attraverso l’attuazione dei campi di lavoro realizzati con il volontariato locale e nazionale di Legambiente, in collaborazione con la Soprintendenza, l’Università e il Comune.
Questa duplice azione ha permesso di sventare la cementificazione della murgia soprastante la gravina di Ginosa, dall’installazione dei piani di insediamento produttivi (PIP), ma soprattutto è stata utile alla comprensione da parte dei ginosini che le cose si possono fare e che anche i nostri luoghi, al pari della torre di Pisa, di Ercolano e Pompei o della Valle dei Templi, costituiscono un unicum, un bene culturale, naturalistico e antropologico irripetibile, da studiare proteggere e ristrutturare sia per una fruizione turistico culturale che per tramandarlo alle generazioni future.
La situazione degli studi sulla gravina di Ginosa dalla prefazione del libro la Gravina di Ginosa di Pietro Parenzan… La cultura sulla gravina era basata fondamentalmente su quanto concerne la Civiltà Rupestre. Ma anche su questo, la gravina di Ginosa non può dirsi ben nota, tanto è vero che dei villaggi rupestri e dei greppi in generale erano note solo le grotte-cripte e le chiese. Ma della struttura interna delle numerose grotte e dei loro rapporti con l’umanità che si avvicendò sin dal Paleolitico non si sapeva nulla e le conoscenze erano quelle antiche del Glionna 1853…
Le notizie più sostanziose sono quelle che riguardano le grotte-chiese e la civiltà rupestre soprattutto per le pubblicazioni di C. Damiano Fonseca… di Paolo Bozza e Maddalena Capone… all’interessantissimo villaggio di Rivolta, scenario impressionante in 5 piani sul greppo destro della gravina, non era stato fatto il rilievo topografico di nemmeno una delle oltre 60 grotte trogloditiche… Per quanto riguarda le conoscenze delle varie branche naturalistiche in pubblicazioni precedenti, non se ne parla proprio.
IL RIPARO DELL’OSCURUSCIUTO NELLA GRAVINA DI GINOSA SINTESI DELLE RICERCHE
Il riparo paleolitico dell’Oscurusciuto fu scoperto casualmente nel 1983 dal mio amico speleologo Dott. Luciano Calculli. Successivamente nel 1989 durante i lavori di studio sulla gravina di Ginosa condotti dal prof Pietro Parenzan, in qualità di suo collaboratore, lo guidai alla visita del sito. Prontamente segnalato alla Soprintendenza di Taranto ne seguì un sopralluogo della dottoressa Antonietta Gorgoglione, al quale non ci fu alcun seguito. Nel 1992 la scoperta venne pubblicata per la prima volta dal Parenzan nel volume La gravina di Ginosa. Dalla preistoria ad oggi, con l’ubicazione del sito in località cava Santoro.
Nel settembre 1996 Raffaella Bongermino condusse il paletnologo Vincenzo Fusco alla visita della tomba
numero 3, grazie alla quale il suo scopritore prof Franco Biancofiore definì la civiltà eneolitica di Laterza.
Su contatto di Raffaella condussi il professor Fusco in visita alla gravina di Ginosa e successivamente al sito paleolitico. Ne seguì una comunicazione allo scrivente e al professor Palma Arturo di Cesnola dove si definiva il sito di elevato interesse. Il sopralluogo conoscitivo da parte dell’università di Siena avvenne nel 1997 e per l’agosto 1998 fu pianificato il primo saggio di scavo condotto dai professori Paolo Boscato, Paolo Gambassini e Annamaria Ronchitelli, su incarico della Soprintendenza, direzione tecnica dott. Donata Venturo, logistica e manodopera Legambiente circolo Giano Ginosa, finanziamento comune di Ginosa. Il sito fu denominato Riparo dell’Oscurusciuto. Confermata la sua importanza si programmò per l’agosto del 1999 una indagine in estensione che portò alla rimozione del terreno di superficie la cui setacciatura restituì il materiale fuori contesto assommante a 1320 strumenti, 500 nuclei e migliaia di rifiuti di taglio non ritoccati. Le successive campagne di scavo, l’ultima delle quali effettuata nell’agosto 2021, hanno suffragato l’importanza europea dell’Oscurusciuto in particolar modo per la ricostruzione per gli spazi abitativi e del loro utilizzo, rappresenta inoltre una delle ultime testimonianze per la presenza dell’uomo di Neanderthal.
UN FORTUITO RINVENIMENTO: GLI AFFRESCHI NEL PIANORO DEL CASTELLO
Durante una campagna di ricerca rientrante nelle attività di speleologia urbana rinvenivamo, in un vano ipogeo esistente nel pianoro del castello di Ginosa, una serie di blocchi di calcarenite affrescati con immagini di santi e in particolare il volto di un san Sebastiano di pregevole fattura, derivanti con molta probabilità dall’abbattimento di una chiesa per le realizzazioni di nuove fabbriche. Il butto fu eseguito per colmare uno spazio non più utilizzato. Si provvide al recupero e alla comunicazione alla Soprintendenza in data 25 gennaio 1994. La presa in consegna fu eseguita il 28 marzo 1995 con il trasporto al laboratorio della Soprintendenza di Bari per il restauro conservativo, mai effettuato. In data 22 marzo 2018 dopo ventitrè anni dalla consegna, con il consigliere comunale nonché archeologo Angelo Moro, l’archeologo Vincenzo Stasolla e i funzionari della Soprintendenza, dopo una ricerca effettuata nei depositi e una serie di confronti fotografici, riuscimmo a ritrovare i blocchi, successivamente il soprintendente dott. Luigi Larocca ne autorizzava il rientro a Ginosa presso il deposito archeologico di Santa Parasceve in corso Vittorio Emanuele. Successivamente l’area in questione è stata sempre attenzionata in relazione alle prime fasi dell’arroccamento medievale. Nel mese di agosto del 2005 una campagna di scavo archeologico ha indagato una superficie di circa 100 m². Sono venuti alla luce strutture murarie a livello
di fondamenta, una necropoli con sette sepolture, una moneta databile al 1040 ca., oltre a tre tagli di forma circolare, all’interno di essi è stata rinvenuta ceramica a impasto riconducibile ai secoli XIV – XIII a.C.
LA SVENTATA CEMENTIFICAZIONE DELLA MURGIA E I CAMPI DI LAVORO DI LEGAMBIENTE
In seguito alla destinazione d’uso a Piani di Insediamento Produttivi di un’area della Murgia prospicente la gravina di Ginosa, la Legambiente ginosina in data 8 maggio 1994 adottava ufficialmente il comprensorio murgiagravina proponendo il progetto “Volontariambiente 1994- Verso un nuovo Rinascimento”. Esso prevedeva il ripristino dell’antica strada comunale della murgia, viabilità questa che collega il villaggio rupestre della rivolta alle chiese rupestri di Santa Barbara, Santa Sofia e Santa Lucia, proseguendo poi verso le aree a pascolo e gli uliveti della murgia. In data 4 luglio 1994 il progetto veniva definitivamente approvato dalla Soprintendenza la quale esprimeva il proprio “positivo apprezzamento”. I lavori furono attuati attraverso i campi di lavoro domenicali, riuscendo a compiere l’opera e a sventare la cementificazione della murgia.
INTERVENTI AL RIONE RIVOLTA
In data 10 novembre 1995 in una riunione della V Commissione consiliare permanente (ambiente assetto del territorio) della Regione Puglia il consigliere Pietro Lospinuso proponeva un emendamento riguardante l’urgenza di interventi nelle gravine di Ginosa e Laterza da attuarsi con progetto ad acta rientrante nel piano triennale territorio e ambiente. L’associazione circolo Giano di Ginosa formulava un’ipotesi da attuarsi nelle suddette gravine. Gli interventi previsti e attuati furono: la rimozione dei rifiuti, l’estirpazione delle erbe ingombranti il libero passaggio e che compromettevano la stabilità dei siti rupestri, il ripristino dei muretti a secco e del lastricato, il recupero dei canali di raccolta delle acque piovane, la pulizia delle cisterne ingombre da macerie e la ricostruzione delle bocche.
Il finanziamento previsto fu pari a 250 milioni di lire con una quota non inferiore al 40%, pari a 180 milioni, destinata a contratti di lavoro-formazione per giovani disoccupati e inoccupati.
LA CISTERNA IN VIA SAN MARCO
Nell’agosto 2003 durante un campo di lavoro di Legambiente relativo al ripristino della viabilità rupestre in uno slargo su via San Marco, prospicente le grotte n. 33 e 34 del terzo piano del villaggio di Rivolta (rilievo Parenzan), si evidenziò una notevole presenza di frammenti di maiolica di Laterza. Ad una più attenta osservazione individuammo il perimetro circolare di una cisterna, sicuramente riutilizzata a immondezzaio. Per l’agosto del 2004, dal 7 al 17, programmammo una campagna di scavo archeologico in cooperazione con un campo di lavoro di Legambiente, con il volontariato nazionale e locale. Lo scavo fu condotto dall’archeologo Giambattista Sassi su incarico della Soprintendenza di Taranto e supervisione della dott. Teresa Schojer. Esso ha restituito numerosi frammenti di ceramica acroma, da cucina, dipinta, smaltata bianca e graffita. Notevoli le maioliche di produzione laertina, di ottima fattura, decorate a figure di santi, a motivi faunistici e a fogliame. In ottimo stato di conservazione le lucerne invetriate, in terracotta sono un contrappeso da telaio e due statuette fittili, una riproducente un busto di donna, l’altra un rapace, forse un’aquila. Sono stati rinvenuti manufatti di industria litica tra i quali due schegge riconducibili in base ai ritocchi marginali una all’utilizzo come pietra focaia, l’altra sarebbe una pietra focaia da fucile o pistola. Inoltre tre monete, una di esse è un cavallo in bronzo dello zecchiere Giancarlo Tramontano emessa da Ferdinando I Regno delle Due Sicilie data 1488-1489. Il ritrovamento di una
moneta da 5 lire del 1953 al di sotto della malta di posa del primo gradino di una scalinata di accesso alla casa grotta n.34 posata al di sopra del primo strato di riempimento della cisterna testimonia l’utilizzo e la
frequentazione dei luoghi fino a pochi decenni fa.I ritrovamenti effettuati fanno presupporre un ambito che va dall’ultimo quarto del XV secolo al secondo quarto del XVIII.La loro associazione permette di ipotizzare l’ambito socio-culturale dei frequentatori, Infatti la maiolica pregiata, graffita e dipinta con predominanza di decorazioni dell’ordine francescano, associate e un’alta percentuale di ossa di bovino, al tempo carne poco economica, lascia presupporre la frequentazione dei luoghi da parte di persone benestanti, in qualche modo legate alla scuola decorativa francescana delle botteghe figuline di Laterza.
I MEDIA
Il recupero e la valorizzazione di un patrimonio così importante necessita la divulgazione e la conoscenza
attraverso le campagne mediatiche SALVALARTE. Nella campagna nazionale Salvalarte 1996 di Legambiente, il villaggio rupestre della Rivolta è scelto tra i 60 monumenti da salvare per voler bene all’Italia.
ITALIA SOTTERRANEA. La gravina di Ginosa, al fianco di Napoli, Narni, Cagliari, Amelia, Soncino, Orvieto, con i suoi ipogei e itinerari entra a far parte dell’associazione Italia Sotterranea.
PROGRAMMI TELEVISIVI NAZIONALI E INTERNAZIONALI.Puliamo il mondo: Campagna nazionale
di Legambiente. Durante l’operazione puliamo il mondo eseguita il 21 settembre 1997 dalla Legambiente circolo giano di Ginosa furono rinvenute 2 tombe a fossa scavate nella calcarenite erroneamente collocate in via Burrone al posto di via Labirinto, due strade rupestri parallele che conducono al letto della gravina. Durante la pulizia dei rifiuti, spicconando, rinvenni personalmente fra il terreno una emi mandibola e un osso temporale umani.
Segnalato il rinvenimento ai carabinieri di Ginosa e alla Soprintendenza di Taranto, l’intervento di urgenza eseguito dall’archeologa dott. Teresa Schojer fu condotto in uno spazio ristretto (m. 2 X 3) delimitato da un muretto a secco, dallo spalto aggettante sulla gravina e da una costruzione in tufo. Le sepolture rinvenute di età medievale assommano a 4. La totale assenza di corredo non permette la collocazione cronologica nell’ambito dell’età medievale. Il ritrovamento, nei paraggi di tracce di affreschi originari ha permesso di individuare una chiesa rupestre successivamente trasformata in abitazione.
MITIGAZIONE DEL RISCHIO IDROGEOLOGICO
Il 6 e 7 ottobre del 2013 il Comune di Ginosa è stato interessato da due pesanti alluvioni che hanno devastato la gravina e parte del centro storico. A gennaio del 2014 il crollo di parte di via Matrice la strada di connessione con l’antico borgo, ha compromesso definitivamente tutta l’area, impedendo l’accesso e la fruizione. Questi eventi hanno sancito l’inizio di un percorso volto alla conoscenza del sottosuolo e alla mitigazione del rischio idrogeologico, il Comune di Ginosa, infatti, ha istituito il CATASTO DELLE GROTTE, censendo oltre 350 cavità tra case grotta, lamioni, cisterne, cantine e chiese rupestri classificandole per pericolosità e dettando le priorità di intervento. Dopo lo sgombero delle macerie e la messa in sicurezza del costone nel punto crollato per lavori pari a circa 1 ML di Euro, a distanza di quasi 7 anni, la strada è stata riaperta al transito pedonale, permettendo ai privati di intervenire nelle ristrutturazioni dei propri immobili. L’attuale Amministrazione ha sempre creduto nell’importanza di salvaguardare il territorio e l’incolumità pubblica, per questo si è attivata attraverso dei validi progetti di mitigazione del rischio, tra cui quello già finanziato dal Ministero per la Difesa del Suolo per il consolidamento dell’intero costone di via Matrice per 2,9 ML di Euro, attualmente al vaglio degli enti preposti al rilascio delle autorizzazioni. il percorso di consolidamento e tutela è lungo e complesso e prevede ancora numerosi interventi affinché il nostro immenso patrimonio rupestre vada correttamente conservato.
GROTTAGLIE
Guida AIGAE Annalisa Pinto. Mi chiamo Annalisa Pinto e sono una guida ambientale escursionistica.
Nel 2016 con la mia collega Maria De Marco abbiamo fondato l’associazione Grott’Art A. P. S. con la quale ci occupiamo prevalentemente di turismo ambientale/escursionistico, di progetti di conoscenza del territorio ed educazione ambientale per le scuole, attività didattiche ed un campus estivo all’aperto. Operiamo soprattutto sul territorio di Grottaglie ed in particolare nelle nostre gravine, veri e propri villaggi rupestri, oltre che patrimonio naturalistico. La nostra professione ci porta a frequentare questi luoghi assiduamente, sia perché ci passiamo con i turisti /escursionisti durante i nostri tour, sia perché ci facciamo sopralluoghi periodici per verificare lo stato dei luoghi. Questo ci porta a fare anche attività di manutenzione sui sentieri e di controllo, da un punto di vista ambientale ma anche di conservazione del patrimonio storico. Certo non siamo archeologhe e non pretendiamo di averne le competenze, ma poiché visitiamo le gravine periodicamente, ne conosciamo le grotte, le tombe, i muretti a secco e tutto ciò ne costituisce il paesaggio alla perfezione. I nostri villaggi rupestri più importanti si trovano nelle gravine maggiori: Riggio, Fantiano, Fullonese e la lama di “Penzieri”. Attualmente Riggio non è più fruibile poiché proprietà privata con accesso vietato. Fantiano è interessata da un teatro all’ aperto nelle Cave dove d’estate si svolgono eventi, concerti e manifestazioni sportive patrocinante dal Comune. La vegetazione ha reso inaccessibili la maggior parte delle grotte, fatta eccezione per un giardino medievale con apiarie all’imbocco della gravina. La lama di “Penzieri” è stata interessata da un grave incendio nel giugno scorso, cosa che potrebbe causare una maggiore erosione, ai danni della calcarenite, con l’arrivo delle piogge, essendo ora il suolo quasi privo di vegetazione. Sullo spalto Nord la lama presenta una chiesa rupestre, in stato di abbandono, dedicata ai santi Marco e Nicola i cui affreschi si presentano appena leggibili, anche a causa dell’ultimo utilizzo della stessa come fortino militare da parte dei tedeschi tra il 1943 e il 1944. Ma la situazione che più ci preoccupa e ci preme portare all’attenzione riguarda la gravina del Fullonese, interessata negli ultimi 4 anni da lavori di messa in sicurezza con l’installazione di staccionata in legno lungo il tratto calpestabile e cartellonistica esplicativa.
Naturalmente ciò ha reso l’accesso al sito molto più facile in concomitanza con l’assenza di qualsiasi attività di controllo, a parte quello che possiamo fare noi GAE. Purtroppo gli atti vandalici ai danni delle grotte, il degrado, la spazzatura stanno aumentano di giorno in giorno, mettendo in serio repentaglio il patrimonio storico e ambientale del luogo. Nonostante il nostro impegno nel promuovere questi siti e le nostre segnalazioni nulla è stato fatto per renderli fruibili e proteggerli. In questi cinque anni di attività abbiamo accompagnato nelle gravine, alla scoperta di storia e natura, gente da tutta Italia e da diversi Paesi del mondo. Il loro valore è riconosciuto ed apprezzato da tutti tranne che dai locali. Per questo abbiamo deciso di partecipare all’incontro che si terrà a Palagianello il 3 ottobre e di portarvi la nostra testimonianza.
LATERZA
Dott.sa Francesca Clemente, architetto. Laterza sorge su di una gravina, che con i suoi 12 km di lunghezza e oltre 200 mt di profondità è una delle più grandi d’Europa; un vero e proprio canyon, il gran canyon di Puglia. Con le sue pareti a picco, l’asprezza del territorio, il solco erosivo della gravina, scavato prevalentemente nel calcare di Altamura, è un vero e proprio scrigno naturalistico. In particolare, Laterza sorge all’incrocio tra la gravina grande e la lama, oggi denominata via Concerie, luogo ottimale sia per la sua posizione arroccata e per la presenza dell’acqua e di cavità e grotte lungo i suoi spalti. Lungo l’antica lama si concentrano la maggior parte delle chiese rupestri e grotte. Il professor Dell’Aquila nella sua “Laterza Sacra” censisce 57 tra chiese e chiese rupestri. Di tutto questo patrimonio, 23 sono le chiese rupestri, 2 demolite, quelle che oggi sono visitabili sono soltanto 5.
Mentre altri 2 ambienti rupestri molto interessanti sono una antica conceria semipogea e un frantoio anch’esso semipogeo che oggi hanno una diversa destinazione e cioè entrambi ristoranti. Tra gli ambienti ipogei, molto interessante risulta essere il sistema di approvvigionamento idrico alla Fontana Cinquecentesca, costituito da un condotto sotterraneo che la collega alla stanza anch’essa ipogea, di adduzione dell’acqua e che si trova sotto il piazzale antistante al Santuario Mater Domini.
La prima chiesa rupestre che ritroviamo lungo questo percorso, partendo appunto dalle spalle del Santuario Mater Domini, è quella di Cristo Giudice in via Raffaello Sanzio. Attraverso un ingresso lungo un muro di cinta, si accede alla chiesa salendo alcuni gradini e ci si trova in una sorta di terrazzamento o giardino, anticamente coltivato. Di fronte, la parete rocciosa è interrotta da due entrate attraverso le quali si accede alla chiesa. Il sistema dei terrazzamenti, dei tetti giardino, della presenza degli orti e del sistema di convogliamento delle acque attraverso i tetti sovrastanti che confluiscono poi in un pozzo subito fuori o dentro la grotta, rappresentano una caratteristica peculiare dei nostri antichi sistemi abitativi e si ritrovano non solo lungo via Concerie ma anche nella zona cosiddetta delle Conche. La chiesa e il giardino sono stati recentemente recuperati dal proprietario che ne ha realizzato una suggestiva location per eventi, feste private ed eventi culturali. Il restauro ha riportato l’originaria spazialità della chiesa con la demolizione di due muri divisori di più recente costruzione, la sistemazione della gradinata di accesso, la sistemazione della pavimentazione in parquet e l’impianto di illuminazione che mette in risalto, non solo gli affreschi presenti ma anche l’architettura della chiesa stessa che è completamente ipogea. La chiesa è un bell’esempio di architettura in negativo, tipica appunto dell’architettura rupestre, dove invece di aggiungere si toglie e dove si “risparmia” quella parte di roccia che si vuole lasciare per creare delle decorazioni; come nel caso del tetto a “schiena d’asino” su cui è stata risparmiata una grande croce patente che funge appunto da decorazione. L’apparato decorativo della chiesa è rappresentato dal grande affresco del catino absidale che rappresenta la Deesis, cioè la figura di Cristo Giudice al centro, seduto in trono tra la figura di san Giovanni il Battista a destra e la Madonna a sinistra. Sulla parete laterale destra è presente un piccolo affresco che rappresenta Santa Chiara.
La chiesa rupestre di Santa Ciriaca o santa Domenica, oggi cripta del Santuario Mater Domini, è stata frequentata da sempre grazie alla profonda devozione dei laertini verso il culto mariano. Quella che si presentava nel 1650 come una grotta abbandonata e piena di rovi dentro la quale si rifugia il pastore Paolo Tria al quale appare la Madonna Mater Domini, diventa poi il fulcro della vita religiosa laertina, tanto che viene sistemata, abbellita e collegata al Santuario dopo la sua costruzione. In particolare agli inizi del 1900, furono eseguiti lavori di ristrutturazione che consistono in un rivestimento in carparo a creare una partitura architettonica e la realizzazione di affreschi che rappresentano diversi santi, pur mantenendo in alcuni tratti a vista il soffitto scavato proprio a ricordo dell’antica grotta. Recentemente la pulitura degli affreschi ed il nuovo impianto di illuminazione ha valorizzato ancora di più il sacro edificio.
Altro caso di intervento privato è stato il recupero del complesso rupestre di San Leucio in via Giuseppe
Montrone, oggi ristorante Hermitage. La struttura si sviluppa su diversi livelli di grotte e ha al suo interno la chiesa rupestre di San Leucio. Studiosi locali ipotizzano che fosse un antica laura abitata da monaci anacoreti che avevano in comune la chiesa. I proprietari consentono sempre la visita al complesso sia da soli che in gruppi organizzati, oltre anche ovviamente ai clienti del ristorante.
Anche la chiesa rupestre di San Giacomo saltuariamente viene aperta al pubblico. Si tratta di due chiese dedicate a San Giacomo, la prima scoperta e dalla quale si accede alla seconda che risulta irrimediabilmente compromessa a causa di lavori eseguiti alla struttura sovrastante. Interessante il corredo pittorico legato ad avvenimenti dedicati a San Giacomo ma non in buone condizioni di conservazione.
La chiesa di San Vito di proprietà comunale si trova subito dopo il ponte che attraversa la gravina in via Selva San Vito. Si tratta di una chiesa semipogea con la parte antistante senza volta, ma ricostruita durante uno degli interventi di restauro, è sempre stata frequentata dai laertini perché san Vito, come vuole la tradizione orale, è stato il primo patrono di Laterza e pertanto almeno una volta all’anno si celebra la messa il 15 Giugno, giorno della sua memoria liturgica. La chiesa ad aula unica, presenta dei pilastri ed archi in tufo addossati alla parete scavata, che reggevano la volta. La parte terminale risulta essere completamente scavata nel banco tufaceo e presenta nell’abside resti degli affreschi di San Vito con ai lati i Santi Cosma e Damiano. Attualmente è visitabile su prenotazione rivolgendosi all’info-point comunale.
La chiesa della Madonna delle Grazie, anch’essa di proprietà comunale, si trova fuori dal centro abitato sulla strada provinciale 19 in prossimità dello stadio comunale. È una piccola chiesa di campagna che diventa il luogo della prolungata pasquetta laertina poiché si festeggia il giorno successivo al lunedì dell’Angelo. La chiesa ad aula unica presenta una ripida scalinata interna che consente di scendere sotto il livello stradale per raggiungere la parte completamente ipogea. L’altare divide la grotta dalla parte retrostante dove ci sono affreschi interessanti. In particolare il dittico datato 1505 rappresentante la Madonna del Latte e della Misericordia e una Mater Domini.
Caso a sé è rappresentato dalla chiesa rupestre di San Pietro conosciuta come Cantina Spagnola. La cripta, molto interessante per la sua commistione di sacro e profano e per il corredo pittorico e scultoreo, è ormai da alcuni anni chiusa al pubblico. La chiesa conserva al suo interno affreschi dal tema sacro a cui si aggiungono successivamente, con il cambio di destinazione d’uso, affreschi del periodo seicentesco che rappresentano scene di dame e cavalieri, dignitari ecclesiastici, un enorme “donnone” nudo, corredati da iscrizioni in latino e volgare.
L’amministrazione comunale è in trattativa con gli eredi per poterla acquisire.
Altra struttura interessante, cuore della vita laertina fino agli anni 50, è la Fontana Cinquecentesca ed il suo condotto di adduzione.
Al di sotto del piazzale antistante il Santuario della Mater Domini è localizzata la “Fonte Vetere”, dove si trova un’ampia vasca sotterranea di raccolta delle acque sorgive. Da questo punto e mediante un condotto sotterraneo, voltato ed in parte scavato, l’acqua è convogliata lungo via Concerie verso la Fontana Cinquecentesca. Questa fu certamente ristrutturata dal marchese D’Azzia nel 1544 data indicata in facciata con l’epigrafe e lo stemma dei marchesi. La fontana ed il sistema delle vasche segue uno schema tripartito e ben ordinato: la prima vasca a forma di “L” serviva per l’approvvigionamento dell’acqua potabile, la seconda vasca divisa da una serie di arcatelle serviva all’abbeveramento degli animali, la terza vasca che chiude lo schema serviva come grande bucataio.
L’acqua residua infine termina in uno scolo a cielo aperto che si incanala fra gli orti della zona delle Conche fino alla confluenza nel letto della gravina vera e propria. Il condotto, interessante opera di ingegneria idraulica, è molto simile ai qanat arabi che si ritrovano nella Palermo sotterranea, che servivano appunto a portare l’acqua da una parte all’altra della città. Attualmente sia per la vetustà della tubazione e per infiltrazioni dalla strada l’acqua non è più potabile. Inoltre alcune radici degli alberi sovrastanti stanno compromettendo il banco tufaceo in cui è scavato il condotto. La Sovrintendenza sta mettendo a punto un progetto per il restauro di tutta la struttura.
Alcune delle grotte lungo il percorso sono caratterizzate da una maggiore complessità ed articolazione planimetrica oltre che da dimensioni rilevanti; questo perché erano dei veri e propri opifici all’interno dei quali si lavoravano le olive, l’uva o in alcuni casi erano delle concerie: due di questi sono stati ristrutturati e trasformati in ristoranti, il Vecchio Frantoio ed il Purgatorio.
Il Vecchio Frantoio situato nel tratto iniziale di via Concerie conserva ancora le originali macine in pietra del frantoio ipogeo che sono state spostate nel cortile esterno per fini decorativi. Una piccola pittura, entrando sulla parete destra e prima della scalinata di accesso alla grotta, raffigura delle donne che si immergono in un fiume in un bosco. Forse una raffigurazione del paesaggio circostante prima degli stravolgimenti dovuti dall’opera dell’uomo.
Il Purgatorio si trova invece nel tratto finale di via Concerie, vicino appunto all’ex chiesa del Purgatorio. Si accede attraverso una ripida scalinata che porta in un terrazzamento sulla lama e dal quale si accede alla struttura vera e propria. Conserva ancora al suo interno la cisterna per l’acqua e le vasche per la concia delle pelli.
Concludiamo questo intervento con l’analisi di un’altra chiesetta recentemente restaurata che si trova di fronte alla ex chiesa del Purgatorio in via Ospedale: San Giuliano. La chiesa è dedicata a San Giuliano il protettore degli Ospitalieri, cioè coloro che davano ospitalità, fu fatta costruire da una famiglia di origine spagnola probabilmente nel XVI secolo. Durante i lavori di restauro alcuni indizi come la quota molto bassa di alcune affreschi, la presenza di conci decorati all’interno del riempimento della pavimentazione, la parte ipogea che poi è divenuta cripta ci hanno portato a supporre che la chiesa attuale sia stata in parte costruita su di una precedente chiesa rupestre o che si sia demolito il soffitto e costruita l’attuale volta a crociera per dare un maggiore slancio ed una maggiore dignità alla chiesa stessa. Oggi la chiesetta è diventata un bed and breakfast, pertanto fruibile dai suoi clienti o visitabile su richiesta.
In sintesi l’attenzione e l’interesse per il rupestre, sia da parte pubblica che privata, è presente nel territorio laertino anche se molto resta ancora da fare per il recupero e la salvaguardia di queste importanti testimonianze storico-architettoniche che potrebbero diventare un ulteriore attrattore turistico volano anche per l’economia locale.
Uno speciale ringraziamento al dott. Nicola Zilio per la sua preziosa consulenza.
SITUAZIONE ATTUALE DEL RUPESTRE A PALAGIANELLO
Marianna Caragnano, Guida abilitata Regione Puglia. La presente relazione ha come fine quello di illustrare, in maniera sintetica, le condizioni globali attuali dei siti rupestri del territorio Palagianellese, i lavori di messa in sicurezza effettuati in questi ultimi quattro anni, le attività di promozione messe in atto dall’associazione I Portulani e la risposta turistica a tali iniziative.
Nel territorio di Palagianello sono presenti ben otto chiese rupestri, allineate lungo gli spalti della gravina: cinque sulle pendici est e tre su quella ovest. Quattro sono fruibili (Chiesa Anonima, S. Gerolamo, Santa Lucia e Jazzo Rivolta), una di proprietà privata al momento non fruibile (Chiesa rupestre di S. Andrea), due non fruibili per la scarsa manutenzione della scalinata di accesso (Chiese rupestri di S. Nicola e SS. Eremiti) e una inagile a causa di un crollo verificatosi anni addietro (Chiesa rupestre di Serrapizzuta).
Di particolare bellezza è il villaggio rupestre di Palagianello, situato nella gravina omonima immediatamente a nord del centro storico attuale. Il sito è stato fortemente alterato in passato da estesi fronti di cava nella sua porzione superiore e da fenomeni franosi nel suo settore meridionale. Negli ultimi quattro anni non sembra aver subito altri crolli, anche se risulta indispensabile un sopralluogo.
Il villaggio comprende al suo interno due significative chiese scavate dedicate a Sant’Andrea e San Gerolamo. La chiesa rupestre di S. Andrea è isolata dal villaggio in quanto risparmiata da attività estrattive, mentre quella di S. Gerolamo è compresa nella porzione superiore del villaggio in un’area interessata da crolli. In strettissima relazione con il villaggio vi è la “Chiesa anonima”, così chiamata dal Caprara.
CHIESA RUPESTRE DI SANT’ANDREA
Situazione attuale: La chiesa rupestre di Sant’Andrea rientra in una proprietà privata, al momento non fruibile al pubblico. Sorge isolata dal suo originario contesto, inaccessibile attraverso il suo ingresso primitivo a causa della distruzione dello spalto della gravina perpetrato dalle cave di conci di tufo per costruzione. L’ingresso attuale è possibile grazie ad una porta ricavata sul lato nord del bema.
Nel bema sono ben visibili crepe che rendono non più procrastinabili i lavori di messa in sicurezza dell’intera area. All’interno della chiesa rupestre sono presenti diversi affreschi che, nonostante il tempo, si conservano discretamente.
CHIESA RUPESTRE DI SAN GEROLAMO
Situazione attuale: La chiesa rupestre di San Gerolamo, di proprietà pubblica, sita sullo spalto della gravina di Palagianello, è stata interdetta al pubblico per circa quattro anni, a causa dell’incendio che il 13 Agosto 2017 ha interessato la gravina di Palagianello. Le fiamme distrussero la scalinata in legno che conduceva al sito. Oggi, a distanza di anni, la chiesa, grazie al necessario ripristino della scalinata, è tornata ad essere fruibile ai visitatori.
La chiesa rupestre non presenta al suo interno crepe e infiltrazioni. Tuttavia si evidenzia un visivo deterioramento dei due affreschi presenti.
CHIESA RUPESTRE DI SANTA LUCIA
Situazione attuale: La chiesa rupestre di Santa Lucia, situata nello spalto occidentale della gravina di Palagianello, è di proprietà pubblica. Il sito non presenta apparentemente situazioni di rischio per la stabilità dello stesso.
Dopo l’incendio del 2017 è emersa una piccola grotta sita accanto alla chiesa rupestre, fino a quel momento nascosta dalla vegetazione. La chiesa rupestre di Santa Lucia ha subito nel corso degli ultimi quattro anni il tentativo di diventare un luogo di culto “fai da te” da parte di privati che hanno collocato diversi quadri, rappresentanti immagini sacre, rischiando di rovinare le iscrizioni in greco e latino ivi presenti. Una situazione indecorosa che ha visto l’intervento decisivo dell’associazione lungo due direttrici: da un lato segnalare all’ente comunale la situazione incresciosa venutasi a creare, dall’altro “denunciare alla comunità” tale scempio grazie alle visite guidate all’interno della suddetta chiesa rupestre. Da qui l’esigenza di dotare il cancello, già presente, di un lucchetto ciò al fine di garantire una più efficiente sicurezza del sito da futuri atti vandalici.
CHIESA RUPESTRE DI S. NICOLA E DEI SS. EREMITI
Situazione attuale: Le due chiese rupestri, San Nicola e SS. Eremiti, al momento non sono accessibili al pubblico. In particolare, la chiesa di S. Nicola presenta all’ingresso una folta vegetazione prevalentemente composta da rovi che ne impedisce agevolmente l’ingresso. A ciò si aggiunga che la scalinata che conduce al sito è da tempo impercorribile a causa di una mancata manutenzione. La chiesa dei SS. Eremiti, collocata a circa 12 metri d’altezza dal fondo della gravina, presenta analoghe difficoltà di accesso a causa della pericolosità della scala.
ATTIVITÀ E INIZIATIVE IN ATTO
L’associazione “I Portulani – i guardiani del borgo antico” persegue, tra gli altri, il fine di far conoscere il ricco patrimonio presente del Parco Regionale Terra delle Gravine. Per il raggiungimento di tale scopo si organizzano una serie di iniziative, quali: visite guidate, escursioni, laboratori didattici, ciclo passeggiate ecc… Ogni anno l’associazione organizza una serie di iniziative che richiamano nel territorio decine e decine di visitatori. Gli eventi non sono mai “limitati” alla semplice visita guidata, ma si arricchiscono di ulteriori peculiarità.
Da qualche anno, accanto alla tradizionale escursione, abbiamo aggiunto l’osservazione delle stelle con l’ausilio di telescopi messi a disposizione degli astrofili. Un momento “formativo” che, al di là dell’aspetto puramente romantico, ha non solo l’obiettivo di far conoscere la mitologia greca, che ha dato il nome alle costellazioni, ma anche (soprattutto!) educare al rispetto dell’ambiente riducendo l’inquinamento luminoso. Un fine tanto caro ai Portulani, da sempre impegnati nel promuovere una maggiore sensibilizzazione sul tema dell’ambiente.
Un altro aspetto che arricchisce le nostre iniziative è quello culinario finalizzato a “promuovere le bontà del territorio”. Il “turismo culinario”, molto apprezzato dai visitatori, ha iniziato a configurarsi come una forma di esperienza culturale, stimolando le persone a partecipare alle visite guidate.
L’edizione 2020 del “Rapporto sul Turismo Enogastronomico Italiano”, a cura di Roberta Garibaldi, con
l’appoggio della World Food Travel Association e l’Associazione Italiana Turismo Enogastronomico, offre un quadro completo e rigoroso di un settore del turismo che negli ultimi anni evidenzia un continuo trend di crescita. In Italia, infatti, la fruizione di esperienze a tema enogastronomico è diventata patrimonio comune, con ben l’85% dei turisti italiani che, a prescindere che si muovano per turismo balneare, di montagna o per business, ha partecipato ad almeno una attività di questo genere nel corso di un viaggio, indice di un forte desiderio di scoprire e sperimentare l’enogastronomia locale. (Fonte: https://www.robertagaribaldi.it/il-turismoenogastronomico-nel-2020/).
Un altro tipo di esperienza, messa in campo dall’Associazione, è quella a carattere naturalistico. Si pensi
all’osservazione delle lucciole (del genere Luciola e Lampirys) che, nel periodo tra fine Maggio e inizio Giugno, ha suscitato curiosità di tanti visitatori, provenienti da diversi angoli della Regione Puglia (e non solo).
Un’occasione utile per sensibilizzare i presenti sulla necessità di tutelare l’ecosistema essendo, infatti, le lucciole perfetti indicatori biologici.
Accanto alle attività suddette, l’associazione è impegnata in laboratori didattici, destinati ai bambini (e non solo) quali: laboratori di archeologia, laboratori ambientali sulla conoscenza delle piante tipiche del nostro territorio e così via…
Fondamentale è la collaborazione con le altre associazioni e gli enti pubblici. A tal fine, in sinergia con l’infopoint di Mottola, stiamo puntando a promuovere il turismo lento che si presenta come una valida alternativa per valorizzare il nostro territorio e rilanciarlo in chiave sostenibile.
Un esempio di ciò sono le ciclo passeggiate, rese possibile grazie alla realizzazione del percorso ciclabile che collega Palagianello alla vicina Castellaneta (dal versante ovest) e il territorio di Mottola (dal lato est.). La conoscenza del patrimonio rupestre, ancora sconosciuto ai più, ci impone di domandarci su quali direttive concentrare gli sforzi volti alla sua conoscenza anche a quella parte della popolazione che non possiede competenze tecniche.
Quanti conoscono effettivamente la cultura rupestre e, di conseguenza, la storia del proprio territorio?
Da un confronto quotidiano la risposta purtroppo tende ad essere negativa. Da qui, la necessità di impegnare tutti gli sforzi dei soggetti interessati (associazioni ed enti pubblici) a diffondere le conoscenze su un determinato periodo storico che trova espressione nelle chiese rupestri.
Al fine di realizzare l’obiettivo suddetto, l’Associazione è impegnata ad organizzare, in collaborazione con
l’amministrazione comunale, una serie di iniziative gratuite volte a far conoscere le chiese rupestri del territorio, ben consapevoli che la migliore tutela di questi siti non deriva soltanto da barriere fisiche (cancelli) ma dalla conoscenza degli stessi da parte dei cittadini che, così facendo, diventano loro stessi i custodi del patrimonio cittadino. È la realizzazione di quella idea di cittadinanza attiva che necessita di cittadini consapevoli e impegnati nella tutela del bene comune. Ciò sulla scia degli insegnamenti dell’archeologo Riccardo Francovich, che ha sempre praticato un’archeologia intensa come impegno civile, con un radicamento territoriale assai forte in Toscana, con rapporti proficui con le amministrazioni locali, le associazioni culturali ed ecologiste e la cittadinanza attiva, con progetti di carte archeologiche, allestimenti di musei, parchi e mostre, con una grande attenzione alla comunicazione e alla divulgazione.

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