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La grande storia di Brindisi

La storia di Brindisi è intimamente connessa alla vita del suo porto, centro propulsore di scambi commerciali e di comunicazioni marittime. Probabilmente fu questa la calamita, che attrasse i Romani e li spinse a fondare una colonia di diritto latino posta a sentinella sull’Adriatico. Così Brindisi, che fu un centro dominante in età messapica, assurse a testa di ponte verso l’Oriente in età romana.

Due volti della stessa medaglia, di cui uno ha prevalso sull’altro, rendendo difficile la lettura della fisionomia originaria. Molto si conosce della Brindisi romana, mentre, per molti aspetti, rimane ancora avvolta nella nebbia del mistero la Brindisi indigena, che, secondo Giustino, fu la capitale di un rex Apulorum.

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Qualche ulteriore, seppur scarna notizia, ci viene offerta ancora dalle fonti letterarie greche e latine, a proposito della mitica fondazione del centro che, secondo le fonti, accolse anche l’ecista di Taranto, Falanto. In un passo di Giustino si fondono e si confondono probabilmente i primi contatti più o meno intensi tra Greci di Taranto e Messapi di Brindisi. Contatti che verrebbero suffragati dai corredi funerari, riferibili intorno alla metà del VII sec. a.C, provenienti dalla necropoli di Tor Pisana, dove sono riemersi indizi preziosi, relativi ad una precoce apertura alla penetrazione greca in un contesto controllato dagli Iapigi.

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L’associazione Taranto-Brindisi veniva rimarcata in un passo straboniano, che, sulla base di un confronto tra i due territori, assegnava la palma della vittoria a quello brindisino per la feracità dell’entroterra e per il suo straordinario porto da primato. Entro un’unica imboccatura, secondo il geografo greco vissuto in età augustea, erano racchiuse, diverse rade riparate dai flutti; esse si caratterizzavano per essere dotate di insenature somiglianti alle corna di un cervo, da cui deriverebbe il poleonimo. Infatti il porto rievocherebbe la fisionomia delle corna ramificate di un cervide e nella lingua messapica il termine brention o bretentesion, corrispondeva appunto alla testa di questo animale.

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Ma “brun” era anche la voce onomatopeica, con la quale si indicava l’acqua, che circondava quasi completamente la città. Proprio dal mare Brindisi trasse la sua linfa vitale, segno identificativo del suo ruolo strategico di scalo marittimo e portuale. Il suo affermarsi sulla cresta dell’onda il 5 agosto di un anno imprecisato tra il 246 e il 243 a.C., allorquando venne dedotta una colonia romana di diritto latino, dove si poteva addirittura coniare moneta, sancì una svolta epocale per un centro che divenne il terminale della via Appia: la regina viarum. La notizia della deduzione coloniaria, oltre dalla documentazione archeologica, si evincerebbe anche da alcuni brani di scrittori latini come, ad esempio, Cicerone. L’oratore casualmente nelle Lettere ad Attico faceva un accenno al 5 agosto del 246 a.C. dies natalis della figlia Tulliola coincidente con il dies natalis della colonia, destinata ad accogliere contingenti civili in esubero venuti dal Lazio. Da Brundisium si diramò capillarmente il processo di romanizzazione di tutta la Messapia e l’inarrestabile avanzata verso Oriente delle legioni romane. Roma non esitò a rilanciare lo scalo della propria colonia, premiandola per la fedeltà dimostrata persino durante la II Guerra Punica, allorquando quasi tutti i centri messapici limitrofi defezionarono in favore del generale cartaginese Annibale Barca. Contestualmente Taranto, un tempo capitale della Magna Grecia, veniva punita a causa dei suoi continui tradimenti con la perdita dell’autonomia.

colonne di brindisi

Durante la guerra sociale Brindisi fu eletta a municipium e venne ascritta alla tribù Mecia. Un ruolo di primaria importanza svolse il suo porto nel corso delle guerra civile tra Cesare e Pompeo prima e tra Ottaviano e Marco Antonio qualche tempo dopo. Il prestigio acquisito da un punto di vista commerciale e militare rimase inalterato nell’arco imperiale. In età augustea molto probabilmente venne attivata una stazione della classis praetoria, che aveva il compito di contrastare la pirateria e garantire così un attracco sicuro alle navi. Nel Basso Impero iniziò a manifestarsi una lenta decadenza. In seguito alla caduta del’Impero Romano d’Occidente (476) il centro divenne teatro di scontri tra Goti e Bizantini, che vessarono la popolazione. Nonostante si presentassero sempre e comunque nella veste di conquistatori i Normanni vennero salutati quasi come liberatori. Nel 1089 il conte Goffredo di Conversano in occasione del sinodo di Melfi invocò la presenza di papa Urbano II per la consacrazione della cattedrale.

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In quel frangente Brindisi da sede episcopale venne elevata ad arcivescovado. Iniziarono a fiorire gli ordini religiosi-monastici, come quello di S. Maria dei Teutonici e dei Templari questi ultimi destinati ad essere processati e mandati al rogo a partire dal 13 ottobre 1307 dopo le accuse mosse loro dal re di Francia Filippo IV il Bello e da papa Clemente V anche tra le mura di quella che consideravano una loro sede storica.

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Ai Normanni subentrarono gli Svevi, che dimostrarono una predilezione particolare a partire dall’imperatore Federico II, che salutò la città con la celebre frase: filia solis, ave, nostro graditissimo cordi. Non a caso il sovrano il 6 novembre 1225 scelse di convolare a nozze con Isabella di Brienne (figlia di Giovanni, re di Gerusalemme) proprio nella cattedrale brindisina, impegnandosi tra l’altro nella riedificazione della cinta muraria, nel restauro delle infrastrutture portuali, nella costruzione di una fortezza circondata da quattro torri e nella messa a sicurezza del porto da dove ormai salpavano i Crociati impegnati a liberare il Santo Sepolcro. La fortuna volse dopo la V crociata, quando iniziò a consumarsi il destino del figlio di Costanza d’Altavilla e Federico VI Hohenstaufen raggiunto dalla scomunica. Il destino della dinastia sveva sembrava compiuto. Alla morte di Federico II il potere passò al figlio legittimo Corrado IV incoronato re di Germania. Manfredi, invece, figlio naturale, ereditò il Regno di Sicilia e il Principato di Taranto, ancora un’aggregazione amministrativa più che un organismo sovrastatale vero e proprio. Nel marzo 1252 Corrado IV manifestò l’intenzione di revocare le donazioni del padre lesive alla Corona, includendo anche quelle di Manfredi, il quale assistette impotente alla revoca del potere, alla rimozione del giustiziere e all’imposizione di ulteriori tasse e balzelli alla popolazione. Nonostante i vari tentativi di intesa poi falliti tra papato e impero, sfociati nella guerra protrattasi con alterne vicende, a rimetterci fu proprio il figlio di Federico e Bianca Lancia, che assistette impotente all’assegnazione da parte del pontefice Innocenzo IV della Contea di Lecce a Marco Ziano e del Principato di Taranto a Ottone Frangipane. Nella lotta tra guelfi e ghibellini Brindisi si schierò a fianco del pontefice, il quale ricorse all’aiuto della casata francese di Carlo d’Angiò. Il 23 agosto 1268 a Tagliacozzo anche Corradino, l’ultimo discendente del puer Apuliae, morì e insieme a lui anche il dominio svevo venne estromesso dalla scena politica dagli Angioini.

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Da una dominazione all’altra Brindisi scivolò in età orsiniana nella sfera del Principato di Taranto, potente feudo divenuto regno nel regno, prima di essere annesso alla corona aragonese di Napoli in cammino verso l’istituzione di un vicereame spagnolo radicato nel solco del più austero sistema feudale fonte di privilegi per clero e baroni sempre più avidi e arroganti.

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La terra degli Iapigi che segue a quella di Taranto presenta contro ogni aspettativa un aspetto ridente: benché infatti appaia pietrosa in superficie, lavorandola, tuttavia, si scopre che il terreno arabile è profondo, e malgrado sia assai povera d’acqua, nondimeno appare ricca di pascoli e di alberi. Un tempo anche tutta questa regione era assai popolosa e vi erano tredici città, ma oggi tranne Taranto e Brindisi, le altre sono solo dei piccoli centri, fino al punto le hanno ridotte le sventure e le sofferenze patite. Dicono che i Salentini siano coloni dei Cretesi; presso di loro si trova il santuario di Atena, che un tempo era noto per la sua ricchezza, e lo scoglioso promontorio che chiamano Capo Iapigio, il quale si protende per lungo tratto sul mare in direzione dell’oriente invernale, volgendosi poi all’incirca in direzione del Lacinio, che gli si fa incontro da Occidente e che chiude di fronte ad esso l’imboccatura del Golfo di Taranto. Anche i Monti Cerauni, in modo analogo, chiudono dirimpetto ad esso l’imboccatura del Golfo Ionio, e la traversata dal Capo Iapigio ai Monti Cerauni, nonché da esso al Lacinio è lunga circa settecento stadi. Da Taranto a Brindisi, il viaggio di circumnavigazione della penisola è di seicento stadi fino alla cittadina di Baris, che oggi è chiamata Vereto; essa è sita sulla punta estrema della regione Salentina, e da Taranto si raggiunge assai più agevolmente per via di terra che per mare. Da lì a Leuca vi sono ottanta stadi; anche questa è una piccola città dove si mostra una fonte d’acqua dolce maleodorante: si favoleggia che i Giganti detti Leuternii, sopravvissuti alla battaglia di Flegra in Campania, furono cacciati da Eracle, e rifugiatisi qui scomparvero sottoterra; dal loro sangue putrefatto trarrebbe origine l’acqua maleodorante della fonte; a causa di ciò chiamano Leuternia anche questa parte del litorale. Da Leuca alla cittadina di Idrunte (Otranto) vi sono centocinquanta stadi e da Idrunte a Brindisi quattrocento. Altrettanti ce ne sono anche da Idrunte all’isola di Sason, che è situata proprio nel mezzo del braccio di mare tra l’Epiro e Brindisi. Perciò quelli che non riescono a compiere la traversata in linea retta piegano a sinistra a partire dall’isola di Sason in direzione di Idrunte e da lì, atteso un vento favorevole, proseguono poi fino ai porti di Brindisi, ovvero essendovi sbarcati, procedono per via terra, tagliando per Rhodaiai (Rudiae), una città greca, da cui proveniva il poeta Ennio.

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La regione che si circumnaviga andando da Taranto a Brindisi somiglia a una penisola. La via interna da Brindisi a Taranto, percorribile in un giorno di marcia da un corriere, segna come l’istmo della suddetta penisola, che i più chiamano con un unico nome Messapia, o anche Iapigia o Calabria o Salentina; alcuni invece, come si è detto prima, distinguono in essa più parti. Basti quanto si è detto sui piccoli centri della costa. Nell’interno si trovano Rhodaiai (Rudiae) e Loupiai (Lecce) e, più vicina al mare, Aletìa (Alezio) o Baletìa (Valesio). Al centro dell’istmo sorge Ourìa (Oria), nella quale si mostra ancora la reggia di un certo dinasta. Quando Erodoto dice che vi è in Iapigia una città di Hyria, fondata dai Cretesi reduci dalla spedizione di Minosse in Sicilia e dirottati qui, si deve intendere questa città come Oueretòn (Vereto). Quanto a Brindisi, dicono che accolse una colonia di Cretesi, quelli giunti qui con Teseo da Cnosso, o quelli che si erano allontanati dalla Sicilia insieme a Iapige (si racconta infatti in entrambi i modi); ma anche questi non vi rimasero, ma ripartirono per la Bottiea. Più tardi la città, governata da un re, venne privata di una parte del suo territorio ad opera degli spartani venuti con Falanto… Essi possiedono un territorio migliore di quello dei Tarentini: benché il terreno sia poco profondo, esso è assai ferace; inoltre è tra i più rinomati per il miele e le lane. Brindisi è, inoltre, fornita di un ottimo porto: entro un’unica imboccatura sono racchiuse infatti diverse rade riparate dai flutti e che alloro interno sono fornite di insenature, si dà farne assomigliare la forma alle corna di un cervo, ciò da cui deriva anche il nome. Infatti il porto, insieme con la città, assomiglia moltissimo alla testa di un cervo, e nella lingua messapica brention si chiama appunto la testa del cervo.

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Così il geografo greco Strabone, vissuto in età augustea, delineava la geografia di un Salento che per la sua posizione strategica, sin dall’antichità, svolse brillantemente il ruolo cruciale di linea di demarcazione naturale tra il Mediterraneo orientale e quello occidentale, a controllo di alcune tra le rotte più battute per gli scambi commerciali dai popoli navigatori. Salpando dall’isola di Itaca o di Corcyra le navi micenee, dall’Egeo, spiegavano le vele verso il Capo Iapigio, oppure dopo aver risalito la baia di Valona puntavano verso Otranto, Rocavecchia e Brindisi. Strategica la posizione di questo insediamento, dove una particolare concentrazione di frammenti di ceramica micenea è stata registrata nel terrapieno del villaggio di Punta le Terrare, a sud del porto, riferibile all’età del Bronzo Medio.

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Il villaggio cessò di vivere agli inizi del XIII sec. a.C. in concomitanza di sconvolgimenti e distruzioni, innescate dalla spasmodica ricerca di nuovi assetti socio-politici ed insediativi. In questo comprensorio lambito dal mare, qualche secolo dopo, iniziò a pullulare di vita l’insediamento iapigio di Brindisi, che assurse a centro dominante in età messapica e testa di ponte verso l’Oriente soprattutto in età romana.

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In questo arco cronologico è inquadrato il complesso archeologico sotterraneo di S. Pietro degli Schiavoni, individuato tra piazza della Vittoria e via Duomo, al di sotto del nuovo Teatro Verdi, dove nel Seicento sorgeva una chiesa intitolata a S. Pietro, ormai scomparsa, ricadente nel quartiere ripopolato nel Cinquecento dal ceppo greco-albanese degli Schiavoni. In questo comprensorio si estendeva un vero e proprio quartiere abitativo di età romana imperiale attraversato da una strada basolata, che metteva in collegamento il più antico impianto urbanistico di età tardo-repubblicana. Sull’arteria stradale, costeggiata da marciapiedi lungo i quali sono rimasti impressi i solchi dei carri, si affacciavano una serie di edifici pubblici e privati caratterizzati da ambienti pavimentati con pavimenti musivi policromi, tra cui un impianto termale riconoscibile per la presenza del calidarium (con vasche d’acqua calda) e del frigidarium (con bacini d’acqua fredda).

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Nel settore orientale è stato riportato alla luce un grande vano riferibile ad una domus patrizia circondata da un portico decorato con elementi architettonici in marmo intarsiati da disegni floreali. E non doveva essere l’unica domus come si può evincere dai mosaici policromi rinvenuti sotto il tempio di S. Giovanni al Sepolcro e a Palazzo Nervegna.

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Molto si conosce della Brindisi romana, mentre, per molti aspetti, rimane avvolta nella nebbia del mistero la Brindisi indigena, che, secondo Giustino, fu la capitale di un re degli Apuli. Qualche ulteriore, seppur scarna notizia, ci viene ancora dalle fonti letterarie greche e latine, a proposito della mitica fondazione del centro, che vantava origini cretesi. In un passo di Giustino si fondono e si confondono i primi timidi contatti tra Greci di Taranto e Messapi di Brindisi. Contatti che verrebbero suffragati dai corredi funerari, riferibili intorno alla metà del VII sec. a.C, provenienti dalla necropoli di Tor Pisana, dove sono riemersi indizi preziosi, relativi ad una precoce apertura alla penetrazione greca in un contesto controllato dagli Iapigi. L’associazione Taranto-Brindisi ritorna in un altro passo straboniano, che, sulla base di un confronto tra i dei due territori, assegnava la palma della vittoria a quello brindisino per la sua feracità e per il suo straordinario porto da primato caratteristico per le sue insenature somiglianti alle corna di un cervo, da cui deriverebbe il poleonimo.

Brindisi panorama

Ma “brun” era anche la voce onomatopeica, con la quale si indicava l’acqua, che circondava quasi completamente la città posta a sentinella sull’Adriatico. Ed è proprio dal mare che Brindisi trasse la sua linfa vitale, segno identificativo del suo ruolo strategico di scalo marittimo e portuale. Così il 5 agosto di un anno imprecisato tra il 246 e il 243 a.C., più probabilmente il 244, venne dedotta una colonia romana di diritto latino, a suggello di una svolta epocale per un centro che divenne il terminale della via Appia: la regina viarum. Utilizzate in età imperiale come faro che indicava la rotta alle navi che desideravano attraccare nel porto, le colonne gemelle, alte oltre 18 metri, realizzate con marmo proveniente dalla Turchia, incarnano l’anima romana di Brindisi. Di una di esse resta solo la base con uno dei rocchi poiché rovinò al suolo nel 1528. I Brindisini donarono ai leccesi il fusto in segno di devozione nei confronti di S. Oronzo che li aveva preservati dalla peste.

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Il capitello originale della colonna, costellato di foglie d’acanto e di divinità marine, invece ha trovato recentemente una degna collocazione nella splendida cornice di palazzo Nervegna Granafei. Da Brundisium si diramò capillarmente il processo di romanizzazione di tutta la Messapia e l’inarrestabile avanzata verso Oriente delle legioni romane. Il suo pregio fu quello di rimanere leale, sempre e comunque, al patto di fedeltà stipulato con Roma, così come avvenne anche in occasione della guerra annibalica. E Roma premiò l’aristocrazia locale con la concessione della cittadinanza romana e una serie di benefici, che fecero ricadere sulla città opulenza e benessere. Non a caso Varrone esaltava gli affari rivenienti dai continui spostamenti di carovane di asini e muli, impiegati per il trasporto di olio, vino ed altri prodotti dall’entroterra al mare.

grande storia di brindisi

Ma rinomato doveva essere anche l’allevamento ovino, da cui scaturiva la lana, l’apicoltura, la pesca e la lavorazione del pescato, oltre all’allevamento di mitili e ostriche, destinate alle tavole dei palati più raffinati. Degne di note le produzioni di materiale fittile, così come testimoniato dalle figlinae amphorarum di Apani, Giancola, Marmorelle e La Rosa, e l’attività metallurgica rinomata per la forgiatura di specchi. Un pallido esempio potrebbe essere riflesso nel giacimento subacqueo tardo-antico di Punta del Serrone, dove è stato individuato un giacimento di frammenti di sculture bronzee destinate alla fusione, di varia cronologia. I due esemplari meglio conservati, esposti attualmente nel Museo Provinciale di Brindisi, sono una statua di personaggio togato di età tardo repubblicana ed un torso maschile nudo di età ellenistica identificato come Lucio Emilio Paolo il vincitore di Pidna. Ma la Brindisi romana nasconde tra le pieghe della terra e i fondali marini ancora tanti aspetti oscuri da svelare racchiusi ancora nello scrigno della sua affascinante storia.

testo di Lory Larva

fotografie di Alessandro Romano

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