Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website Viaggio fra i palmenti dell’Italia meridionale

Viaggio fra i palmenti dell’Italia meridionale

Una terra come il Salento, coltivata a vitigni sin dall’antichità, e che presenta anche tratti di territorio con roccia affiorante, non poteva non diventare terra di palmenti.

Il palmento è una vasca ampia ma non troppo profonda, che era utilizzata per la fermentazione del mosto. Fra le attività economiche più importanti, infatti, di tutta la Terra d’Otranto, vi era la produzione del vino. E in questo territorio restano moltissime tracce di palmenti scavati nella roccia, che servivano a schiacciare l’uva. Utilizzati in scala industriale, dall’età ellenistica fino a tutta l’epopea dell’Impero Romano, l’utilizzo si è protratto quasi fino ad epoca moderna. Sono presenti in tutta l’area del Mediterraneo, dalla Georgia al Portogallo, passando per la penisola italica, la Sardegna, la Francia e la Spagna. Appena fuori Lecce, sulla strada che conduce verso Lizzanello, c’è un sito molto interessante, ricco di palmenti rupestri, ricavati direttamente dal banco roccioso affiorante. Proprio qui nei pressi, durante la mia visita, credetti di aver trovato una serie di tombe scavate nella roccia. Sembrava un’enorme necropoli. Ma a ben guardare le fosse hanno tutt’altra misura di una tomba, e occupano tutta l’area del vasto banco di roccia affiorante. Credo che ci riportino ad un’antica coltivazione della vigna in fossa, introdotta dai Fenici nel Mediterraneo, e che ancora oggi sull’isola di Pantelleria, arida e ventosa ad un tiro di schioppo dalle coste africane, continua ad esistere proficuamente. Anche nella Francia centrale c’è una rinomata località, dove le vigne in fossa esistono sin dal I secolo d.C. La somiglianza di questo sito con quello leccese mi ha fugato ogni dubbio. Vista la presenza a ridosso di questi campi di diversi palmenti, viene facile immaginare che qui si coltivasse in grande quantità la vite, in fosse scavate nella roccia, che conservavano l’acqua con grande facilità. In Salento c’è un altro sito dove probabilmente si faceva la stessa cosa: nei pressi dell’antica abbazia di Cento Porte, a Giurdignano, un’opera bizantina che risale al periodo in cui Costantinopoli aveva il pieno controllo di questo territorio, si trova questo campo dove emergono questi scavi nella roccia affiorante. Probabilmente, sono altre tracce di questa coltivazione della vite nel Salento, tipica di zone particolarmente aride. In tutta l’Italia meridionale si conservano numerose testimonianze dell’uso dei palmenti, di vario tipo architettonico e del più diverso periodo storico. Un altro insediamento particolarissimo lo troviamo in Basilicata, a Pietragalla. Le sue prime notizie risalgono al XIX secolo, anche se la tipologia era già in uso dal 1700, come si evince da alcuni documenti storici. Infatti vengono citati palmenti “a casetta d’avanti di fabbrica” in prossimità delle vigne di Pietragalla, soprattutto quando queste sono ubicate lontano dal centro abitato o palmenti all’interno di cantine “atte a tener vino con cortile avanti” del centro abitato. L’area ha un estensione di circa due ettari. Il sito in posizione strategica tra l’antico borgo e le vigne, è costituito da un particolare sistema di grotte, per lo più ipogee, adibite alla trasformazione delle uve. Disposte in modo casuale, tipico delle costruzione spontanee, le circa 200 grotte sono scavate nella roccia arenaria, perciò facilmente lavorabile. All’interno di questo atrio vi sono alcuni elementi funzionali, come la costante presenza di nicchie dovuta alla necessità di alloggiare vivande e candele. In alcuni casi vi è anche un camino per riscaldare il mosto per accelerare il processo di fermentazione. Spesso sul soffitto della vasca della pigiatura si trova infisso un robusto anello di ferro che serviva da appiglio al pigiatore. Anche a Ginosa, nel villaggio rupestre di Rivolta, troviamo palmenti scavati in rupe ed inseriti in questo caso in un contesto abitativo, lontano dal vigneto. Anche la Sardegna è un’isola fertile per questo fenomeno, che comunque ha caratteristiche distinte da luogo a luogo, ma dove si ha certezza che l’uso dei palmenti è cominciato nel IX secolo a.C. e grazie al lavoro di tanti studiosi, fra cui ringrazio principalmente Cinzia Loi, oggi si sta conoscendo sempre di più. Gli esempi di palmenti sopravvissuti sono tantissimi e ci permettono di comprendere la sapienza accumulata da quegli antichi contadini, diventati nei secoli provetti produttori di vino. All’interno del libro “I palmenti di Ferruzzano, il prof. Orlando Sculli restituisce un’ampia descrizione di questi “altari del vino”, descrivendone il forte utilizzo durante il periodo ellenico, bizantino e moderno: il vino prodotto infatti era esportato in tutta l’area del Mediterraneo ma successivamente all’espansione araba, il commercio fu interrotto brutalmente; sul finire dell’Ottocento, prima della guerra commerciale inaugurata con la Francia, il vino ricavato dall’utilizzo dei palmenti (caratterizzato da una alta gradazione) era acquistato per tagliare il vino francese. Ecco perché era un’attività irrinunciabile. Facciamo ora un viaggio fra le diverse tipologie di palmenti del Salento. Qui siamo non lontani dal villaggio rupestre di Macurano, dove un palmento si nasconde fra la vegetazione infestante, e risale probabilmente ad epoca bizantina. Appena fuori Collepasso c’è questo grande palmento costruito in elevato, talmente grande da far supporre un utilizzo comune agli abitanti del vicinato. Reca la data 1749. All’esterno conserva ancora le “caviglie” dove i lavoratori legavano asini e cavalli coi quali giungevano qui a lavorare. Un altro esempio, sempre molto grande, l’ho incontrato in agro di Ugento, nei pressi dell’antico casale di Pompignano: era voltato con una maestosa copertura a botte. In zona ne ho scoperto uno anch’io. Era completamente ricoperto dai rovi, si trova proprio alle spalle dell’antica chiesa di Pompignano, su un terreno roccioso dove si trovano anche alcune tombe medievali. Questo è un altro esempio, che si trova in agro di Bagnolo del Salento. Qui siamo nell’immediato circondario leccese, alle porte della città nel rione Castromediano, dove è sopravvissuto un altro magnifico esemplare di palmento quasi intatto: conserva anche il gradino dove il lavoratore poggiava i piedi. Un particolare che assieme all’archeologo Cristiano Donato Villani abbiamo riscontrato in un altro splendido palmento in agro di Carpignano Salentino. Nella zona a ridosso della torre costiera di sant’Emiliano, lo studioso Raffaele Santo ne ha censiti diversi, a testimonianza che questo territorio era un tempo coltivato a vigneto, fino alla metà del Novecento, quando una malattia costrinse i contadini a estirpare le vigne. Un piccolo mondo antico sui pilastri della madre terra, la solida roccia salentina che tanto diede da fare ai nostri antenati. Un palmento rupestre molto particolare l’ho documentato in agro di Uggiano: l’ambiente, interamente scavato nella roccia, potrebbe essere stato in origine una chiesa rupestre, successivamente riadattato ad ambiente di lavoro. Col tempo i contadini costruirono dei torchi sempre più elaborati per la spremitura dell’uva. Nelle campagne presso Tricase ritrovai questi elementi che provengono certamente da un palmento, come si vede identici a quelli di una struttura situata presso Presicce. La differenza tra un torchio per olio e uno per vino era sostanziale. Fra quelli per la produzione dell’olio, i basamenti del torchio alla calabrese sono due, alti e stretti, ognuno concepito per alloggiare un vitone. Nel torchio alla genovese il basamento è di grande spessore ma stretto e non ha attacchi per i montanti del vitone, in quanto questi venivano inchiodati alle pareti. Nella forata il basamento era allungato e nei fori laterali si montavano i due montanti in legno. Percorrendo il paesaggio di pietra fra Palmariggi e Otranto troviamo un altro palmento, stavolta una struttura interamente costruita in alzato. Come quella, ancora più ricca e credo ottocentesca di casino Patera, presso Squinzano. Qui sono sopravvissuti gli affreschi del padrone di questa casa di campagna, che ricreano tutta la bellezza e la meraviglia dell’antico mondo rurale. Un mondo oggi dimenticato. Ma i luoghi ci parlano ancora, nel silenzio che oggi li avvolge, sussurrato dalla natura che ha sempre dato loro sostentamento.

ALESSANDRO ROMANO (chi sono)

© Questo sito web non ha scopo di lucro, non userà mai banner pubblicitari, si basa solo sul mio impegno personale e su alcuni reportage che mi donano gli amici, tutti i costi vivi sono a mio carico (spostamenti fra le città del territorio salentino e italiano, spese di gestione del sito e il dominio). Se lo avete apprezzato e ritenete di potermi dare una mano a produrre sempre nuovi reportage, mi farà piacere se acquisterete i miei romanzi (trovate i titoli a QUESTA PAGINA). Tutto ciò che compare sul sito, soprattutto le immagini, non può essere usato in altri contesti che non abbiano altro scopo se non quello gratuito di diffusione di storia, arte e cultura. Come dice la Legge Franceschini, le immagini dei Beni Culturali possono essere divulgate, purché il contenitore non abbia fini commerciali. I diritti dei beni ecclesiastici sono delle varie parrocchie, e le foto presenti in questo sito sono sempre state scattate dopo permesso verbale, e in generale sono tutte marchiate col logo di questo sito unicamente per impedire che esse finiscano scaricate (come da me spesso scoperto) e utilizzate su altri siti o riviste a carattere commerciale. Per quanto riguarda le foto scattate in campagne e masserie abbandonate, se qualche proprietario ne riscontra qualcuna che ritiene far cancellare da questo blog (laddove non c’erano cartelli o muri che distinguessero terreno pubblico da quello privato, non ce ne siamo accorti) è pregato (come chiunque altro voglia segnalare rettifiche) di contattarci alla mail info@salentoacolory.it

Viaggio fra i palmenti dell’Italia meridionale

Leave a reply

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.