In un paesaggio omerico, nascosto dalla civiltà moderna, a pochi chilometri da Matera, sorge in una gravina il villaggio rupestre di Vitisciulo,
un immenso complesso di circa 70 grotte-abitazioni scavate nella roccia. Risalendo il costone alle spalle della gravina, si ode solo lo sciabordio di un fiumiciattolo, l’odore delle piante aromatiche spontanee, il timo, l’origano. E dopo un’avventurosa traversata giungo sul ciglio della gravina. Lo sviluppo del villaggio si ebbe già nel Medioevo, cui succedette un periodo di abbandono e quindi il riutilizzo successivo, sicuramente già nel XVI secolo, solo per il ricovero di pastori e l’allevamento di animali. Come in tutti gli ambienti creati in rupe da quella che Cosimo Damiano Fonseca definì la “Civiltà Rupestre”, la maggior parte delle grotte sono esposte a sud per sfruttare meglio la luce del sole. In questo luogo l’uomo, sfruttando anche la posizione strategica che rendeva questi rifugi poco visibili, ha scavato nella roccia un vero e proprio agglomerato abitativo che aveva la consistenza di un villaggio. Qui, si trovano al suo interno tre luoghi di culto: la chiesa rupestre di San Nicola al Saraceno, la cripta del Vitisciulo e la chiesa rupestre di Santa Maria, già conosciuta come San Luca alla Selva. Il complesso è interessante, oltre che per gli aspetti paesaggistici, anche perché rappresenta una testimonianza di come erano i Sassi di Matera in una fase iniziale dell’urbanizzazione. La funzione del complesso rupestre era dare rifugio ad agricoltori, pastori ed armenti che avevano a disposizione l’acqua dei torrenti ed un clima mite anche nella calura estiva. Questi villaggi rupestri erano dotati di sentieri e carrareccie, di sistemi di raccolta dell’acqua, di laboratori, stalle ed abitazioni. Sopra numerose grotte sono presenti alcune tombe di medio-piccola dimensione, scavate nella roccia; questo aspetto, unito alla presenza delle chiese, testimoniano come in questo agglomerato abitassero sin dall’inizio numerose persone. La Cripta di Vitisciulo è stata abitata negli anni ottanta da un pastore che ne ha lasciato all’interno i suoi oggetti domestici e ne ha modificato parzialmente l’architettura. Un arco parabolico immette nel coro a pianta semicircolare terminante in un abside sfondata dal riuso pastorale. I vari elementi architettonici inducono ad ipotizzare una datazione altomedioevale, ponendo la sua realizzazione tra la fine dell’VIII e la prima metà del IX secolo. Piccole nicchie ad arcosolio servivano probabilmente per contenere lanterne ad olio. Le vasche ci ricordano il successivo riuso della cappella come stalla. Assai più suggestiva è la chiesa rupestre di Santa Maria, che troviamo poco più avanti. Un autentico gioiello in stile bizantino incastonato nel versante a Sud-Est della piccola insenatura su cui l’agglomerato è insediato. Questo chiesa annovera al suo interno numerosi particolari rimasti ad oggi inalterati. La cripta presenta un vestibolo centrale di forma rettangolare che da accesso a diversi ambienti, separati tra loro. Sono documentate tre fasi di scavo della chiesa. La prima costituita dal nartece e dall’aula databile alla seconda metà del IX secolo. La seconda fase, costituita dallo scavo del bema e della parete del templon che lo divide dall’aula dovrebbe essere compresa tra un arco temporale che va dal 1090 al 1110. A sinistra trova spazio, sempre scavato nella roccia, il fonte battesimale. Dal nartece si entra nella cappella principale, che ancora oggi trasuda un’aura sacrale, caratterizzata da tre spazi divisi da un basso muretto. Poi si accede al bema, la parte più sacra della chiesa secondo la tradizione bizantina, che è formato da una parete divisoria in cui è scavata una porta ad arco, e due finestre, ricavate simmetricamente ai lati di essa. Una finta cupola, posta sopra l’altare centrale, è formata da cerchi concentrici scavati: un espediente architettonico veramente affascinante. Sono scomparsi, purtroppo, gli affreschi che la decoravano: qui se ne intravede solo un po’ di colore. E’ stato un viaggio che, fra storia e natura, arte e fede, mi ha addolcito il cuore, e rinnovato un giusto ritmo vitale, che troppo spesso la vita quotidiana ci ammorba con la sua insulsa freneticità.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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