Cosa si prova a scalare una ripida altura sulle Dolomiti Lucane, intagliata a mò di gradinata nella roccia viva dai Normanni,
giunti sin quassù quasi mille anni fa? Era l’avventura che mi proponevo di vivere, arrivando qui, a Castelmezzano, nel cuore della Basilicata più autentica e nascosta. Oltre ovviamente a scoprire un altro dei suoi meravigliosi borghi, incastonati in questo paesaggio omerico dell’anima. Le origini di Castelmezzano sembra risalgano al VI-V secolo a.C., quando i coloni greci cominciarono a penetrare nella valle del Basento. Un periodo burrascoso giunse poi nel X secolo con le invasioni saracene, periodo in cui buona parte del sud Italia fu destabilizzato. La crisi costrinse la popolazione locale a trovare una nuova stabilizzazione. Tradizione narra che, durante l’esodo, un pastore chiamato Paolino scoprì un luogo adatto per trasferirsi, formato da rocce ripide dalle cui cime si potevano respingere gli invasori facendo rotolare massi di pietra. Dopo l’occupazione longobarda, vi si insediarono i Normanni tra l’XI ed il XIII secolo e vi costruirono un castello, di cui oggi sono ancora visibili alcuni resti delle mura, e la gradinata scavata nella roccia che consentiva l’accesso al punto di vedetta più alto. Fu proprio dal nome del castello, ovvero Castrum Medianum (castello di mezzo) che derivò quello della cittadina, denominato così per via della sua posizione tra quelli di Pietrapertosa e di Brindisi Montagna. Con i Normanni, Castelmezzano visse un periodo di pace e di sviluppo. E’ un borgo placido e piccolo, che ho attraversato nelle prime ore del mattino, e che salendo verso la sua cima è fatto da vecchie case tenute assai bene, e stradine così strette che si possono percorrere solo a piedi, faticosamente in salita, senza vedere alcun mezzo meccanico. Superate le ultime case stiamo salendo verso la fortezza normanna, ed il paesaggio intorno ti riempie il cuore con la sontuosa bellezza del creato, fra boschi e montagne, il canto degli uccelli e delle cicale. Alla famosa vedetta Normanna è oggi possibile accedervi, seguendo però una vestizione che non c’entra più nulla con gli antichi cavalieri, ma semplicemente per ragioni di sicurezza. Accompagnato da una guida locale e da mio figlio Leonardo, ci siamo inoltrati verso il cielo, calcando gli stessi gradini calpestati secoli e secoli fa. Siamo a oltre mille metri di altezza sul livello del mare, la gradinata è stretta e anche se si è legati ad un tirante di acciaio, la paura del vuoto e dell’immensità circostante tiene desti i sensi, completamente ottenebrati dalla bellezza. Sono 54 gradini, gli ultimi dei quali molto consumati, superati i quali, si giunge finalmente in cima! A lato di questo punto di vedetta c’è un’altra cima, di cui si intravede il disegno di un’altra gradinata scavata nella roccia: probabilmente era un altro punto di osservazione, caduto poi in disuso nel corso del tempo. Ma ora torniamo giù, in paese. Visitiamo la Chiesa madre di Santa Maria dell’Olmo. Costruita intorno al 1200, essa subì molte modifiche nel corso dei secoli. Conserva preziose opere d’arte, come le statue duecentesche di “Santa Maria dell’Olmo”, della “Madonna col bambino”, della “Madonna del Bosco-Regina Pura” e della “Madonna dell’Ascensione”. E poi le tele delle “Anime purganti”, della “Madonna del Carmelo”, della “Sacra Famiglia” (o “Trinità Terrestre”), attribuita al pittore seicentesco Pietrafesa. Bella questa porta originale, decorata con una grande conchiglia, simbolo dei pellegrini viandanti. Come tali oggi abbiamo vissuto il passaggio attraverso questo borgo incantevole, la cui fisionomia si è radicata nel mio cuore, e il suo ricordo continuerà a camminare con me, nel tempo.
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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