La Lecce Romana è una città ricchissima di sorprese per tutti gli amanti di quel grandioso periodo storico scritto da Roma nel Mediterraneo:
qui si trovano vistose tracce di questo passato, un teatro, un anfiteatro, anzi, ben due, perché a 3 km da Lupiae (il nome romano di Lecce) c’era Rudiae, la patria di Quinto Ennio, coronata da un altro anfiteatro che è tornato recentemente alla luce. Quello posto proprio nel cuore di Lecce è stato riscoperto ai primi del ‘900, grazie alla tenacia del grande studioso salentino Cosimo De Giorgi, che letteralmente lo tirò fuori dal sottosuolo. La grande opera di recupero e restauro si prolungò fino al 1940. In queste preziose foto d’epoca, forniteci dall’amico Filippo Montinari, possiamo farci un’idea della città di allora. E qui vediamo il piano per riportarne alla luce la sola parte che era possibile, perché il resto ha fatto da base a palazzi, ed una chiesa del 1600. Questa è la visione attuale, comunque, una fetta importante dell’originaria pianta ellittica. L’anfiteatro rappresenta il culmine dell’importanza raggiunta da Lupiae. Siamo tra il I e il II secolo d.C. La datazione dell’anfiteatro è ancora oggetto di discussione e oscilla tra l’età augustea e quella traiano-adrianea. Misurava all’esterno 102 x 83 m, con l’arena di 53 x 34 m, e poteva contenere circa 25.000 spettatori. Del monumento, realizzato in parte direttamente nella roccia e in parte costruito su arcate in opera quadrata, rimangono allo scoperto due corridoi anulari: uno corre sotto le gradinate, l’altro sotto un porticato, sul quale era imposto l’ordine superiore scandito in una galleria di fornici, che rimandano ad altri celebri monumenti, come il Colosseo o l’Arena di Verona. Il prof. Paul Arthur ipotizza che durante la prima fase medievale della città, l’Anfiteatro fu utilizzato come rocca difensiva, nel periodo in cui non esisteva ancora il Castello. Anche nel muro di divisione tra l’arena e la cavea si aprivano diversi passaggi di comunicazione col corridoio centrale ed un più angusto corridoio, scavato immediatamente dietro l’arena, era adibito ai servizi del monumento. L’arena è adornata da una lunga serie di rilievi marmorei raffiguranti scene di combattimento tra uomini ed animali. Le bestie sono esotiche, leoni, tori, e l’uomo è raffigurato quasi sempre armato solo di un gladio, la spada corta dei gladiatori, senza nemmeno una tunica o una corazza… E’ una testimonianza figurativa importante, perché ci trasporta visivamente indietro di duemila anni! Fra le immagini più particolari, questa qui sopra, riproduce una leonessa, fatta scendere nell’arena incinta, con le mammelle gonfie di latte. Da qui si entra nella estesa galleria che compiva il perimetro di tutta l’architettura, un piccolo museo, dove la Soprintendenza sta portando a compimento il restauro degli altri bassorilievi che un tempo adornavano il cordolo dell’arena. C’è anche la statua di un possente animale mitologico, e poi, scene quotidiane dall’arena dello spettacolo! Questa è particolarmente cruenta, col lottatore finito nella polvere. Pare che queste scene siano molto rare da riscontrare negli altri anfiteatri romani, il che impreziosisce parecchio la visita! Anche gli elefanti combatterono nell’arena leccese! Un anfiteatro che, come dicevamo, aveva il gemello nella vicina Rudiae, dove però fu scavato completamente nel banco roccioso, sul modello dei teatri greci. Fra i grandi monumenti della Lupiae Romana ritroviamo anche il teatro. Dimenticato per secoli nel sottosuolo, il Teatro Romano di Lecce riemerse dal passato dopo secoli di dimenticanza, nel 1929, a seguito della ristrutturazione dei giardini di due palazzi nobiliari posti nel centro storico. Subito gli scavi archeologici riportarono in superficie la cavea del monumento, larga esternamente 40 metri, ed all’interno circa 19, ricavata direttamente dal banco di roccia affiorante. Il restauro ripristinò in molti punti l’antico rivestimento. Dodici gradoni si alternano alle scalette d’accesso per gli spettatori, che gli studiosi stimano all’epoca fossero oltre 5000. Oggi la sua quinta scenografica si fregia dello sfondo del poderoso campanile del Duomo, fra i primi 20 più alti d’Europa. Molte delle sue parti sono rimaste invisibili, ma si può osservare altre particolarità, come la zona dell’orchestra, pavimentata con grandi lastre rettangolari, e poi i gradini che girano a semicerchio sui quali si immagina fossero collocati sedili mobili riservati ai notabili. Dietro i gradini è presente un muretto e poi l’orchestra, oltre al canale destinato a raccogliere il sipario. La scena aveva una larghezza di 30 metri ed una profondità di quasi 8. Si ritiene che il teatro risalga al periodo augusteo, ma l’architettura è stata utilizzata per un lungo tempo, rappresentando sia tragedie che commedie. L’adiacente Museo è un affascinante viaggio nel tempo! E’ stato allestito dalla Fondazione Memmo all’interno di uno storico palazzo seicentesco. Oltre a contenere alcuni reperti provenienti dallo scavo, conserva riproduzioni dei monumenti che adornarono Lupiae, che costituiscono un importante percorso didattico alla scoperta del mondo romano. Particolarmente affascinanti le maschere conservate nel museo, che ben ci fanno immaginare gli attori nelle loro performance! Da Lupiae partiva una strada lastricata, un frammento della quale è rimasta sepolta nei pressi del palazzo del Tar, che giungeva fino al porto fatto ricostruire dall’imperatore Adriano. Appena fuori la Lecce moderna, su questo tracciato sorge la chiesa del Crocifisso, che è senz’altro tutto ciò che rimane di un casale medievale che era qui. Ma la zona è doppiamente interessante perché risulta abitata già in epoca classica. Sicuramente c’era un insediamento coevo all’antica Lupiae. Alcuni conci riutilizzati nella costruzione di questa chiesa conservano ancora epigrafi romane. Oggi questo rudere ha ancora molta importanza per via della presenza in affresco di Sant’Oronzo, il patrono di Lecce. Ma torniamo ai Romani, e procediamo verso il mare. Il percorso è oggi quasi completamente nascosto dalle strutture moderne, però alcuni tratti della grande arteria carraia li ho ritrovati. Parallelamente a metà percorso della attuale strada Lecce – San Cataldo, si trovano questi primi resti, oggi nascosti dalla vegetazione. Un altro tratto, molto più importante perché intercetta altre strade perpendicolarmente al suo percorso, si trova quasi a ridosso della marina, e mostrano la mole di traffico che doveva assorbire. Ancora poche centinaia di metri da qui, e si trova il tratto lastricato che arriva direttamente sul molo del porto. Pausania, scrittore, viaggiatore e geografo greco del II secolo d.C. lo citava nelle sue opere. Qui sbarcò Ottaviano, dopo aver appreso della morte di Cesare. Ma tutto questo litorale era frequentato dalle truppe militari mentre erano radunate per le partenze, come dimostra una gigantesca cisterna d’acqua di epoca romana che si trova fra Lecce e Frigole, e che serviva da ristoro per le truppe in sosta. Il porto era un sito strategico, posto fra le altre città portuali di Brindisi e Otranto, svolgendo importante ruolo di scalo o rifornimento. Dopo la fine dell’Impero cadde nella totale dimenticanza, come tutta la zona del litorale, occupata da paludi e boschi. Soltanto nel medioevo, la contessa di Lecce Maria d’Enghien, poi regina di Napoli, aveva qui un castello, citato dalle fonti, di cui oggi gli scavi archeologici stanno riportando alla luce alcuni ambienti ipogei. All’epoca c’era un commercio della neve con l’Albania, citato dalle fonti, che qui trovava lo sbarco per il rifornimento di masseria Aramagna, non lontano da qui. In epoca moderna, di fronte ad esso venne alzato il faro. Il bastione si inoltra in mare per circa 150 metri, ma la parte centrale, attaccata dalle mareggiate, è collassata sotto le onde. Fra il 2004 e il 2008 l’intera struttura è stata oggetto di un pregevole studio, che ne ha analizzato ogni aspetto. Molto è ovviamente mutato, rispetto ai suoi tempi. La variazione del livello marino è stata calcolata in circa 3 metri, rispetto al livello attuale. Molti dei grossi conci presentano ancora le tracce lasciate dagli attrezzi utilizzati per la messa informa (ascia martello e scalpello a taglio liscio). Nelle fonti d’archivio ottocentesche si fa riferimento alla presenza di “barre di ferro” utilizzate per rendere solida la struttura. Del sistema di fissaggio restano sei grappe a doppia T e a pi greco. Cassoni litici sono impiegati già in età classica a Lechaion, Larymna e Leukai; strutture «a compartimenti» in opera quadrata con un nucleo di pietrame sono impiegate nei porti istriani di età romana; analogie costruttive presenta anche il porto di Kyme Eolica forse risistemato nel I sec. d.C. La soluzione edilizia adoperata a San Cataldo deve essere stata fortemente condizionata dall’ampia disponibilità di pietra da taglio e alla facilità di estrazione del materiale lapideo, reperito in zone assai vicine. Delle colonne di marmo bianco che in origine si allineavano lungo tutto il molo, ne resta solo un moncone. Nel cortile del Museo Castromediano di Lecce se ne conserva invece una colonna intera, che ad un’occhiata ravvicinata mostra una fitta serie di graffiti, che potrebbero anche essere i “segni” lasciati dai naviganti che nel corso dei secoli qui sostarono… Sebbene resti ancora aperta la definizione cronologica dell’organizzazione del sistema portuale, appare invece chiaro che con l’intervento imperiale, attuato per assicurare la protezione dai venti dei quadranti settentrionali e orientali, e stimolare anche i traffici delle produzioni locali, l’insenatura sabbiosa fu dotata di un molo in muratura innestato nell’estremità settentrionale nella terraferma, a chiudere uno specchio d’acqua adeguato per le manovre di carico e scarico di imbarcazioni di piccolo tonnellaggio. Molto parte, forse quella più affascinante, si nasconde ancora sott’acqua… Sul lato destro del molo, guardando il mare, all’interno di un unico blocco litico, si intravede ancora una iscrizione, ed in mezzo una piccola imbarcazione a vela: accanto alla piccola nave, le lettere “L” e “C”, le altre lettere non sono ormai più distinguibili facilmente. A vederla dal vivo, sembra riferirsi all’epoca del porto, ma al momento è impossibile affermarlo con certezza. Con questa splendida ricostruzione, ricavata dal lavoro degli studiosi il molo di Adriano ritorna a vivere!
ALESSANDRO ROMANO (chi sono)
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