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Memorie dalle campagne salentine

Questo viaggio alla scoperta delle memorie dalle campagne salentine, che mi concedo felice come un bimbo un giorno alla settimana, è iniziato da una segnalazione, che come al solito contribuisce a stilare la mia tabella di marcia. La “soffiata” mi è giunta da un amico di Facebook, Salvatore Casaluce, il quale mi ha inviato questa immagine,

ripresa dal satellite di Google, che riguarda un tratto della campagna che corre parallelamente alla via che congiunge Ugento a Felline…

…e mostra una strana struttura che a prima vista sembrerebbe una classica “pagghiara”, ma che a naso non mi ha convinto. Ci sono andato!

Memorie dalle campagne salentine

E’ infatti una “carcara”, il luogo dove un tempo si produceva la calce. Una struttura rimasta praticamente intatta, e che non mi era mai capitato di riscontrare, in giro per il Salento. Un processo produttivo fondamentale, per tutte le comunità, e che iniziava con la cavatura del materiale calcareo. Spesso si trattava di cave a cielo aperto. La roccia estratta veniva poi frantumata e cotta nel forno di calcinazione. A temperature di almeno 800 gradi la pietra calcarea si trasforma, liberando gas carbonico e dando luogo alla cosiddetta calce viva. Il prodotto così ottenuto veniva bagnato. Riscaldato, si sgretolava e polverizzava, dando luogo alla calce usata in edilizia per preparare malte, miscelata con sabbia ed acqua, e in agricoltura come correttivo delle caratteristiche dei terreni. La produzione di calce è vecchia di circa 4.000 anni: si hanno testimonianze del suo uso tanto nell’antico Egitto che in Mesopotamia. Il sistema più primitivo consisteva nello scavare una fossa profonda circa 70 cm, disponendo al suo interno, foderato i pietre, il combustibile e la pietra calcarea. La cottura andava avanti per settimane, e, una volta terminata, il pozzo veniva svuotato della calce viva. Era una tecnica che permetteva la produzione di un limitato quantitativo di materiale.

Queste notizie e l’immagine sopra sono tratte da www.vivinfvg.it.

Ho avuto la fortuna di incontrare il proprietario del terreno che lavorava alla potatura dei suoi alberi, perciò ho potuto osservarla…

…il forno di accensione è veramente massiccio e imponente!

Questo è il suo interno, visto dal lato opposto: la struttura è perfettamente circolare. Il signore mi racconta che quando era piccolo ricorda bene la fila di gente che veniva qui, e raccoglieva la calce dall’alto di questo muro.

Sulle pareti della camera che introduce a quella circolare, vi sono croci graffite…

…ed altri segni che non ho decifrato…

…qui sopra, l’ingresso alla stanza che porta poi alla sala del forno…

…mentre accanto ad essa, c’è questa altra aula, altissima, voltava a botte, che era il magazzino di enormi quantità di legna, che serviva ad accendere il fuoco. Nell’immagine aerea si nota pochi metri ancora più dietro, la piccola stanza fornita di camino che doveva essere il ricovero della gente che qui vi lavorava. In Salento c’è anche il caso in cui le antiche specchie, enormi cumuli di pietre accumulate in non meglio precisate epoche storiche, furono in tempi recenti convertite a “carcare”, come ho visto coi miei occhi in un altro reportage.

Nelle campagne fra Leverano e Porto Cesareo invece mi segnala l’amico Mauro Rizzo un’altra struttura inusuale…

…una “pagghiara” che è fornita di un piano superiore!

Anche questa non mi era ancora capitata, costruendo la mia galleria su questi caratteristici ripari rurali…

L’interno è fornito di sedili…

La scaletta che conduce alla piccola stanza in cima è molto stretta.

In una delle due stanze a terra, la parete e il sedile sono intonacati…

…e l’ambiente contiene varie nicchie nella parete.

La chiave di volta ha una croce…

…in entrambe le cupole.

Il fascino di queste strutture, oggi solitarie nelle campagne e un tempo ricolme di vita, mi sembra senza tempo!

Comunque, ho raccolto la testimonianza dell’amico Nicola Febbraro, che mi ha detto che presso Salve c’era, fino a tempi recenti, un altro esemplare di pagghiara a due piani. Chissà, forse le nostre campagne ci riservano ancora sorprese! Lasciamo l’Arneo, e andiamo a sud di Otranto…

…in territorio di Uggiano, nella zona dove si trova la cripta medievale di Sant’Elena. Cercavo un frantoio, e non ci sarei mai arrivato senza l’aiuto dell’amica Ada Cancelli, e di “mesciu” Vito…

In questa isolata contrada si apre infatti, nascostissimo nelle viscere della terra, un frantoio. Sopra l’arco del suo ingresso c’è una croce…

…l’interno, è il solito tuffo al cuore…

…camminando in questa incantevole e semplice perfezione architettonica, ricavata dalla roccia, col sudore dello scavo manuale di tenacissimi operai e contadini…

Sulla parete destra si nota la data 1880. Ed un innumerevole susseguirsi di incisioni, che stanno a significare probabilmente le “vasche” di olio realizzate.

Sulla sinistra c’è una sfera incisa… Ada mi suggerisce che forse volevano disegnare il sole, quegli uomini che vivevano qui sotto, e il sole non lo vedevano mai. Credo abbia ragione!

Ma la mia curiosità è balzata su questo nome, tale Lionardo Mazzo… abbiamo conosciuto sicuramente il nachiro di questo frantoio! Che nei racconti del paese, raccolti sempre da Ada, pare che all’epoca fu ucciso in un assalto in cui dei furfanti volevano rubare l’olio…

Prima dell’iscrizione del suo nome, non riesco a capire cosa c’è scritto… la storia di quest’uomo rimarrà avvolta nel buio di questo luogo. Comunque, sono contento, è il secondo nome di un nachiro che riesco a scoprire, lo aggiungerò alla mia galleria di questi grandi templi del lavoro contadino.

Resto sempre stupefatto, ammirando la perizia con cui questi ambienti furono scavati…

Sono tornato nelle campagne di Trepuzzi, dove recentemente il prof. Antonio Costantini ha segnalato la più antica pagghiara mai ritrovata (finora!)…

Sull’architrave di accesso reca una croce greca, e la data 1441, percettibile benissimo dal vivo, mentre un pò più a fatica in fotografia.

L’esterno conserva l’anello dove i contadini legavano gli animali…

…l’interno, un camino, per il riscaldamento dell’ambiente.

La volta era un pò diversa dal solito: manca la parte finale e la chiave di copertura. La chiusura era garantita da una serie di travi, che sostenevano il tetto.

Purtroppo, questo non si è conservato.

Le travi sopravvissute sono un legno veramente vecchio… dal vivo risalta bene!

Fuori la pagghiara, una cisterna…

…nella quale ho sbirciato calando la macchina fotografica…

…e si nota lo scavo, perfettamente intonacato: era la riserva di acqua nella quale convogliavano le piogge, con cura certosina.

Sopra entrambi i lati dell’accesso risaltano ancora due croci..

…che ci giungono da tempi lontani, col loro brandello di Storia minima. Faccio un respiro lento, chiudo gli occhi, dopo aver osservato ancora una volta quella data: 1441. L’America non era stata ancora scoperta, l’Impero d’Oriente era vivo, Costantinopoli libera, lo spirito bizantino aleggiava ancora sul Salento, crocevia del Mediterraneo, il Regno di Napoli era forte e la regina Maria d’Enghien abitava a Lecce, dall’altra sponda Skanderbeg respingeva i Turchi come un eroe omerico e questa terra era ancora libera grazie a lui: i contadini uscivano dal medioevo e dalle città, e si stabilivano nelle campagne, che vivevano il secolo della rivoluzione agricola. In questa pagghiara vi era uno di questi contadini, aveva il camino, per scaldarsi e mangiare, una cisterna in cui raccoglieva l’acqua piovana, e la terra intorno, con cui nutriva la sua famiglia. Questo è il tempo lontano, di una vita semplice, di pacata fatica nella natura, quando la Storia non era ancora precipitata. Si, forse è vero, mi emoziono con poco. Ma sono certo che a molti di voi, che sono arrivati a leggere sin qui, un istante di incanto è capitato uguale.

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