Cookie Consent by Free Privacy Policy Generator website L’enigma del Terenzano

L’enigma del Terenzano

Quando un amico mi accompagnò la prima volta davanti a questa costruzione, ricavata non si sa quando scavandola nel banco roccioso affiorante, l’impressione che ne ebbi fu di una tale meraviglia che per parecchi giorni non feci che pensare ad essa. Siamo su una modesta altura che si affaccia davanti al mar Jonio, presso Ugento, in una località nota come Terenzano. L’amico era Alberto Signore…

…presidente dell’Associazione “Amici dei Menhir”, un “cercatore” delle campagne salentine, da sempre attratto dai luoghi legati alle origini di questa terra…

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…in questa foto qui sopra, scattata proprio da lui, mi indicava quella che secondo egli è la “Venere di Terenzano”. Anzi, un suo seno, il capezzolo della dea madre che cullò gli antichi abitanti di questa terra.

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L’idea era affascinante. Nel sito, secondo uno studio del dott. Roberto Maruccia, sono state individuate notevoli quantità di ceramiche ad impasto riferite all’età del Bronzo, costituite da pareti, fondi e orli, che confermerebbero la una frequentazione della località. Ipotesi che trova confronto con la ceramica rinvenuta durante lo scavo della vicina località “Le Pazze”, dove è stato portato alla luce un’abitazione riferita all’età del bronzo medio (sotto).

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E poi, c’è il menhir, denominato anch’esso Terenzano.

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Successivamente a questa fase, non si trovano tracce di frequentazione prima del secondo secolo a.C. periodo in cui parte una nuova fase di occupazione del territorio.

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Sempre secondo lo studio del Maruccia, molto materiale ceramico è riferibile ad un arco cronologico ampio, dall’età Augustea fino all’età tardo romana, individuando la presenza di una fattoria, fra IV e V secolo d.C. La presenza di ceramica legata all’altomedioevale evidenzia un dato importante riguardo all’occupazione della zona, nella fattispecie riferita alla fase bizantina, testimoniata da un frammento di paiolo in ceramica grezza nella prima e da alcune anse di ceramica da fuoco pertinenti a forme chiuse nell’altra.

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All’altomedioevo probabilmente è da riferire l’area sepolcrale, costituita in tutto da sedici tombe.

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Grosse pietre lavorate affiorano ovunque, e molte di esse sono state riutilizzate, o semplicemente messe in bella vista dai proprietari del sito (che ospita ora una struttura di ricezione turistica che non ha inflitto danni al sito archeologico).

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Molte di queste pietre provengono dagli antichi abitati…

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Il sito, superata la fase altomedievale, non fu comunque abbandonato, anzi, vide il fiorire di una masseria, sopravvissuta almeno fino al 1800…

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…testimone di questo periodo è il frantoio ipogeo, che fu ricavato nel banco roccioso…

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…ma anche le arnie che accoglievano un tempo le api da allevamento…

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Ma torniamo all’onfalo, a questo grande ombelico che spunta dalle viscere della terra. Cosa rappresentava veramente? A cosa serviva? I contadini della zona continuano a dire ancora oggi che in età medievale questa struttura fosse una trappola per lupi, che in quel periodo erano molto numerosi ed assalivano continuamente le ricche greggi che pascolavano sul sito. Un’idea che personalmente non mi sento di condividere, in quanto non mi pare verosimile che un animale di quella stazza non riuscisse poi a saltare di nuovo fuori da questo buco. Forse si presta meglio a questa interpretazione il luogo fotografato qui sotto da Flavio Calasso, presso Porto Cesareo, masseria Salmenta, noto anch’esso generalmente come trappola.

Conversando col prof. Paul Arthur (Università del Salento) raccolsi da lui una sua teoria, secondo la quale questo scavo circolare doveva servire a qualcosa tipo un mulino: forse una macina, che qui dentro girava, per le produzioni agricole in età medievale.

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Lascio al lettore l’ultima e personale interpretazione! Certo, invito chiunque a visitare di persona questo posto, ricco di suggestioni, che una semplice passeggiata intorno potrà liberare, in una giornata di sole…

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…il paesaggio della pietra si sposa col verde degli olivi…

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…lascia facilmente immagnare quanta gente, in quanti secoli, si sia data il cambio su questa minuscola collina, fornita da acqua sorgiva in abbondanza…

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…e dando un’occhiata ai banchi di roccia affiorante, si potrà ben vedere la somiglianza della pietra, con quella del vicino menhir, come se proprio da qui sia stato asportato…

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…tutto è gigante, e maestoso…

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…e accanto alle classiche pagghiare, si notano altre strutture che invece non lo sono…

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E le pagghiare stesse, costruite sopra grossi blocchi monolitici…

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E tutto intorno alla collina, come una barriera di grossi massi, rimaneggiata, sembra tornare indietro dai secoli…

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…quella pietra, muta, non potrà mai dirci tante, tante altre cose!

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